La discontinuità nella continuità. La Legge di Bilancio 2024, all’esame del Parlamento, così come le precedenti disposizioni in materia, non ha il coraggio di elevare strutturalmente (e quindi definitivamente) il limite di esenzione fiscale e previdenziale dei cd. fringe benefit ad oggi ancora fermo ad €. 258,23 (un valore antistorico perché corrispondente alla soglia di 500.000 lire fissata nel 1986 e da allora, fatto salvo il recente “balletto delle soglie” indotto dalle varie “emergenze”, mai più ricalcolato, nemmeno sulla base dell’indice del costo della vita). Dunque continuità nella temporaneità della misura che, per il solo anno fiscale 2024, prevede ora un innalzamento a €. 1.000 per tutti i dipendenti ed €. 2.000, ma solo con riferimento ai dipendenti genitori di figli a carico. Tuttavia, c’è anche la discontinuità nelle novità: nel novero delle finalità cui destinare i fringe benefit, rientrano ora non solo i rimborsi per le utenze domestiche, ma anche affitti e mutui per la prima casa.L’art. 6, c. 1 della Legge di Bilancio 2024, rubricato “Misure fiscali per il welfare aziendale” (si continua, così, a fare riferimento ad un istituto che non ha tecnicamente nulla a che vedere, se non indirettamente, con la materia dei fringe benefit),prevede che, limitatamente al periodo di imposta 2024, «(…) non concorrono a formare il reddito, entro il limite complessivo di euro 1.000, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, delle spese per l’affitto della prima casa ovvero per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa. Il limite di cui al primo periodo è elevato a 2.000 euro per i lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 12, comma 2, del Testo unico delle imposte sui redditi (…)».
L’agevolazione fiscale connessa ai fringe benefit di cui all’art. 51, c. 3 del TUIR, è stata oggetto negli ultimi anni di diverse ed altalenanti modifiche normative, tutte di carattere temporaneo perchè straordinarie. Da ultimo, ad esempio, con il D.L. n. 176 del 2022 (il cd. Decreto “Aiuti Quater”) il quale aveva stabilito che la soglia di esenzione salisse da €. 258,23 a quella monstre di €. 3.000 (per tutti) e ciò dopo un precedente raddoppio della soglia ordinaria a €. 516,46 (D.L. n. 41 del 2021, c.d. “Decreto Sostegni”) seguito poi dall’aumento a €. 600 con il D.L. n. 115 del 2022 (cd. Decreto “Aiuti Bis”) per giungere fino all’art. 40 del “Decreto Lavoro” (D.L. 48/2023) che ha confermato la soglia massima a €. 3.000, ma solo per i dipendenti con figli fiscalmente a carico, retrocedendo gli altri lavoratori alla soglia originaria di €. 258,23 (una soluzione che aveva sollevato comprensibili polemiche atteso il suo carattere potenzialmente discriminatorio in una situazione in cui i redditi di tutti- genitori o meno – sono stati pesantemente erosi dall’inflazione).
Quest’ultima misura terminerà con l’anno fiscale 2023 dopodiché, se l’impianto della Legge di Bilancio per il 2024 sarà approvato dal Parlamento nei termini poc’anzi ricordati, si continueranno ad avere due diverse soglie di esenzione in funzione della presenza o meno di figli fiscalmente a carico.
In linea generale, tali benefit costituiscono (dovrebbero costituire) elementi marginali (fringe) della retribuzione che consistono nella cessione di beni e/o nella prestazione di servizi da parte del datore di lavoro (anche tramite soggetti terzi come i provider e/o gli emettitori di gift card e voucher) in favore dei lavoratori e senza il vincolo della destinazione alla loro generalità o a categorie omogenee di essi come avviene, invece, per le misure di welfare aziendale previste dal TUIR.
I “fringe” sono dunque i soli benefit che, proprio per il modesto valore ordinario pro capite (€. 258,23) possono essere riconosciuti anche ad personam.
L’innalzamento della soglia di esenzione sino a valori superiori a quelli che possono definirsi “modesti” fa fuoriuscire questo strumento dalla sua tradizionale residualità nel quadro del complessivo rewarding dei dipendenti e pone alcuni interrogativi sia sulla possibile discriminazione implicita che si può generare (genitori/non genitori, con i primi che, lavorando entrambi, potranno ottenere il benefit sia da due diversi datori di lavoro (entro il limite-soglia), sia dallo stesso datore di lavoro, ove alle sue dipendenze si trovino entrambi, portando così il beneficio a €. 6.000 per nucleo familiare), sia sulla eventuale discriminazione esplicita (a taluni si concedono/a talaltri no).
Tuttavia, non possiamo omettere di considerare che gli stessi fringe benefit possono rappresentare una parte più rilevante all’interno del “pacchetto retributivo” individuale – si pensi all’autovettura per uso promiscuo, ai pc/tablet/cellulari, alla casa di abitazione, etc. -il cui valore limite innanzi richiamato non giocherebbe alcun ruolo, perché un’attenta valorizzazione degli stessi benefit non farebbe scattare né il confronto con esso, né la sua applicazione.
Ambito soggettivo e temporale della norma: lavoratori e datori di lavoro interessati
La platea degli interessati dall’art. 6 in commento sono i dipendenti con o senza figli, con la differenza che i primi potranno disporre di una soglia di esenzione più ampia (€. 2.000) mentre i secondi si fermeranno al tetto massimo di €. 1.000.
In particolare, i lavoratori con figli dovranno essere:
1) dipendenti (rectius: coloro che percepiscono reddito di lavoro dipendente e redditi assimilati e quindi anche i cd. collaboratori coordinati e continuativi).
2) con figli (compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati) che si trovino nelle condizioni di cui all’articolo 12, c. 2 del TUIR.
Resta fermo, poi, il cd. “principio di cassa allargato”, con la conseguenza che, pur facendosi riferimento a fringe benefit acquisiti nell’anno di imposta 2024, la loro contabilizzazione sarà possibile sino al 12 gennaio 2025. Qualora poi il titolo per accedere ai servizi e/o acquisire i beni costituenti i fringe benefit sia rappresentato da un voucher, da emettere entro il 12 gennaio 2025, questo potrà poi essere materialmente utilizzato anche successivamente. Il Fisco aveva a suo tempo chiarito che in tema di erogazione tramite voucher il benefit si considera percepito dal dipendente ed assume rilevanza reddituale nel momento in cui tale t`utilità entra nella disponibilità` disponibilità del lavoratore, a prescindere dal fatto che il servizio venga fruito in un momento successivo. Il “principio di cassa allargato” si applica sia con riferimento alle erogazioni in denaro, sia con riferimento alle erogazioni in natura. Attenzione ai conguagli: un figlio potrebbe non essere più fiscalmente a carico ed assumere tale posizione nel corso dell’anno. In tal caso occorrerà modificare le dichiarazioni ricevute dal datore di lavoro da parte dei dipendenti interessati per procedere ad ordinati ed inevitabili conguagli. Infine, la norma non fa distinzioni sulla platea dei datori di lavoro. Quindi la misura interessa anche i datori di lavoro pubblici e i lavoratori del pubblico impiego.
Resta fermo – come in precedenza previsto con il Decreto Lavoro – che i datori di lavoro provvedano all’attuazione dell’art. 6 della Legge di Bilancio, previa informativa alle rappresentanze sindacali unitarie, ove presenti.
Ambito oggettivo della norma
L’erogazione in cash (o il rimborso) utile ai fini dell’esenzione fiscale e previdenziale si riferisce anzitutto al “pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale”, analogamente a quanto previsto dagli ultimi provvedimenti in materia del 2022 e del 2023 prima citati. Per utenze “domestiche” si intendono quelle che riguardino immobili ad uso abitativo posseduti o detenuti dal lavoratore (o dal coniuge o dai familiari) anche qualora in tali immobili non sia stata stabilita la residenza o il domicilio: condizione essenziale è che quei soggetti sostengano le relative spese. Richiamando quanto rilevato dall’Agenzia delle Entrate con Circolare 35/E del 4 novembre 2022 per fattispecie analoghe di rimborso, possono rientrare nella disciplina in commento anche le utenze che derivino da riparti di spesa condominiali e siano intestate al condominio (o al locatore dell’immobile) purché si sia in presenza di riaddebiti analitici e non forfettari a carico del lavoratore (o dei familiari di cui sopra).
Per quanto riguarda il rimborso dei mutui per la prima casa, in attesa delle indicazioni dell’Agenzia delle Entrate, riteniamo che dovrebbero valere le stesse regole applicabili alle agevolazioni della prima casa. Secondo la Nota II-bis all’art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al DPR n. 131/1986, i requisiti sono i seguenti:
a) che l’immobile sia ubicato nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italiano emigrato all’estero, che l’immobile sia acquistato come “prima casa” sul territorio italiano;
b) che nell’atto di acquisto, l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
c) che nell’atto di acquisto, l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni di cui al presente articolo.
L’estensione del beneficio previsto dal citato art. 6, c.1 della Legge di bilancio 2024, alle «somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori (dipendenti, N.d.R.) dai datori di lavoro per (…) gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa», sembra porre un problema di coordinamento con la norma che valorizza il benefit relativo ai “prestiti” di cui all’art. 51, c. 4, lett. b). Tale norma dispone che per determinare il valore in denaro del benefit, si deve assumere il 50% della differenza tra l’importo degli interessi calcolati al “tasso ufficiale di sconto” (attualmente “tasso ufficiale di riferimento” – TUR) determinato dalla Banca Centrale Europea, vigente al termine di ciascun anno, e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato dalla banca ed effettivamente sostenuti dal dipendente.
In primo luogo si deve osservare che la norma del TUIR ha carattere generale in quanto le fattispecie ricomprese nell’ambito applicativo possono essere, a titolo esemplificativo:
- mutui ipotecari;
- mutui con cessione dello stipendio;
- prestiti a breve termine;
- scoperti di conto corrente;
- fidi;
- concessione di garanzie bancarie.
Viceversa, la disposizione prevista dalla Legge di Bilancio 2024 si rivolge a una categoria specifica, quella, appunto, dei mutui relativi all’acquisto e alla ristrutturazione della prima casa.
In ogni caso, anche questa disposizione, come quelle già citate e che si sono succedute in questi ultimi anni, è strutturata in due parti:
- la prima eleva il valore soglia di cui all’art. 51, c. 3, TUIR, da €. 258,23 a €. 1.000 (€. 2.000 per i dipendenti con figli) per i beni ceduti e i servizi prestati (a favore del dipendente). Ciò significa che laddove vi sia stata l’attribuzione (contrattuale individuale) del benefit “prestito o mutuo per l’acquisto/ristrutturazione della prima casa”, la sua valorizzazione in denaro secondo la regola disposta dall’art. 51, c. 4, lett. b), ai fini della determinazione del reddito imponibile (il valore normale in denaro ex c. 3 del medesimo articolo), dovrà essere posta a confronto con il limite di irrilevanza reddituale più elevato previsto dalla Legge di Bilancio 2024;
- la seconda parte estende l’irrilevanza reddituale, entro lo stesso nuovo limite soglia, anche delle somme erogate o rimborsate dal datore di lavoro ai dipendenti per il pagamento “degli interessi sul mutuo relativo alla prima casa”, anche laddove non sia stato preventivamente attribuito il benefit sopra detto. Si tratta di una ipotesi nuova e completamente svincolata dal medesimo benefit. In questo caso la regola di cui all’art. 51, c. 4, lett. b) non troverebbe applicazione, né può essere richiamata in modo opportunistico e strumentale per alterare il beneficio in capo ai lavoratori dipendenti, essendo tale seconda parte dell’art. 6, c. 1, autonoma e autoregolante la fattispecie in esame.
Lo stesso identico ragionamento e scomposizione in parti del disposto normativo dovrebbero trovare applicazione per le somme erogate o rimborsate per il pagamento “delle spese per l’affitto prima casa”. Da ricordare che qualora fosse stata attribuita al dipendente come benefit la casa di abitazione, il riferimento normativo sarebbe rappresentato dall’art. 51, c. 4, lett. c), TUIR, che ne determina il valore normale in denaro rilevante ai fini IRPEF, in relazione al c. 3 dello stesso articolo. Giova sottolineare che lo stesso benefit ivi disciplinato presuppone che l’immobile attribuito al dipendente o sia di proprietà del datore di lavoro, ovvero sia stato acquisito dallo stesso in locazione e successivamente dato in sublocazione o comodato al dipendente stesso. Invece, l’ipotesi prevista dall’art. 6, c. 1 della Legge di Bilancio, quale presupposto per la sua applicazione, consiste nell’esistenza di un contratto di locazione stipulato direttamente dal lavoratore dipendente con un soggetto terzo proprietario. Ne consegue che, salvo casi marginali, le due discipline non si sovrappongono.
Ambito oggettivo della norma: soglia e non franchigia
Il limite di esenzione, essendo definito come complessivo, deve essere rispettato con le stesse modalità del limite ordinario di €. 258,23. In buona sostanza, il superamento delle soglie consentite dall’art. 6 in commento comporterà la ripresa a tassazione e la soggezione a contribuzione dell’intero importo, non solo dell’eventuale differenza tra la soglia massima e quanto effettivamente erogato o rimborsato (anche questa vetusta regola, come del resto la perdurante transitorietà dei limiti di esenzione, andrebbe superata una volta per tutte: non si vede davvero perché, come per le altre soglie massime fissate dall’art. 51, c.2 del TUIR, tassazione e contribuzione non debbano riferirsi alla sola quota eccedente le soglie fissate per i fringe benefit).
Infine, essendo l’esenzione fiscale rivolta al percettore del reddito, l’esenzione non andrà misurata (solo) sul rapporto di lavoro in essere, ma anche su eventuali altri pregressi rapporti di lavoro (o di collaborazione coordinata e continuativa) attivati nell’anno di imposta 2024. Pertanto il dipendente/collaboratore non potrà cumulare l’esenzione, in ragione di diversi rapporti di lavoro intercorsi durante l’anno, se già maturata in uno (o nella “sommatoria” di più di uno) dei predetti rapporti. In tal senso si vedano le ancora valide indicazioni espresse dall’Agenzia delle Entrate nella Circ. 23.12.1997, n. 326/E.