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Variazione dell’orario di lavoro e licenziamento per giustificato motivo oggettivo

In materia di lavoro part-time – istituto soggetto ad una rigorosa disciplina normativa – le esigenze organizzative che sottostanno alla richiesta di variazione dell’orario di lavoro non possono rilevare, di per sé, come ragione oggettiva – esclusiva ed autosufficiente – di licenziamento, perché questo significherebbe cancellare di fatto la protezione legale che consente al lavoratore di opporre un legittimo rifiuto alla proposta datoriale di cambiamento dell’orario di lavoro, rifiuto che non può trasformarsi – con aperta contraddizione della normativa – in automatico presupposto del suo licenziamento. D’altra parte, nemmeno può essere precluso al datore di lavoro l’esercizio del recesso quando il rifiuto alla proposta di trasformazione entri in contrasto con le ragioni di carattere organizzativo che, ai sensi dell’art. 3, legge 604/1966, possono integrare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento; in questo caso, tuttavia, il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare non solo la sussistenza delle esigenze economico organizzative, in base alle quali la prestazione oraria precedente non può essere più mantenuta, nonché il nesso causale tra le predette esigenze e il licenziamento, dovendo egli altresì dimostrare che non esistano ulteriori soluzioni occupazionali (o altre alternative orarie) rispetto a quelle prospettate al lavoratore e poste alla base del licenziamento. Quando invece il licenziamento del lavoratore part-time venga intimato per una ragione tecnica organizzativa diversa da quella della variazione dell’orario di lavoro vale ovviamente la nozione generale del g.m.o. come elaborata dalla consolidata giurisprudenza della Corte.

NOTA

La fattispecie oggetto della sentenza in commento riguarda il licenziamento di una lavoratrice part-time intimato per giustificato motivo oggettivo a seguito del suo rifiuto di accettare una modifica della collocazione oraria.

La Corte d’appello di Cagliari ha ritenuto legittimo il licenziamento, confermando la sentenza del giudice di primo grado, osservando che la fattispecie in esame attiene al licenziamento per riorganizzazione aziendale che rientra nel giustificato motivo oggettivo, conformemente alla previsione dell’articolo 8 del d.lgs. n. 81/2015 che, sebbene escluda che il rifiuto di trasformazione del rapporto in part-time, o viceversa, possa costituire di per sé giustificato motivo di licenziamento, non preclude la facoltà di recesso del datore per motivo oggettivo.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso la lavoratrice adducendo che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto adempiuto da parte dell’azienda l’onere di provare l’impossibilità di un reimpiego in azienda.

La Suprema Corte si sofferma sui principi, già dalla stessa affermati, confermando che in caso di rifiuto di trasformazione del rapporto in part-time, o viceversa, il dipendente può essere legittimamente licenziato, purché il datore dimostri la sussistenza di effettive esigenze economiche ed organizzative tali da non consentire il mantenimento della prestazione a tempo pieno (o parziale come nella specie), ma solo con l’orario differente richiesto (v. nello stesso senso Cass. n. 12244/2023, Cass. n. 29337/2023, Cass. n. 12244/2023 e Cass. n. 21875/2015).

Infatti – secondo la Corte – al fine di garantire il contemperamento dei rispettivi interessi del lavoratore e del datore di lavoro «Quando invece il licenziamento del lavoratore part time venga intimato per una ragione tecnica organizzativa diversa da quella della variazione dell’orario di lavoro vale ovviamente la nozione generale del g.m.o. per come elaborata dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. 20 ottobre 2017, n. 24882; Cass. 2 maggio 2018, n. 10435; e da ultimo Cass. 752 del 12/01/2023)».

Alla stregua dei principi richiamati la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito con rinvio alla Corte d’appello in diversa composizione.