La Corte di Cassazione – sentenza n°14760 del 10 maggio 2022 – ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa di una cassiera – ravvisando lesione del rapporto fiduciario – in ragione dell’utilizzo improprio della propria tessera fedeltà.
Nel caso de quo, una società datrice aveva intimato ad una dipendente, addetta ad un supermercato con mansioni di cassiera, licenziamento per giusta causa perché, a seguito di accertamenti effettuati dall’Ufficio sicurezza della società, era emerso che la lavoratrice aveva utilizzato la propria tessera fedeltà nel corso di transazioni effettuate con clienti privi di tessera, allo scopo di accumulare punti successivamente utilizzati per pagare i propri acquisti a prezzo scontato.
Il Tribunale di Napoli, adito dalla lavoratrice, aveva ritenuto illegittimo il licenziamento, considerando sproporzionata la sanzione irrogata, e aveva applicato la tutela di cui all’art. 18, comma 5, Legge n°300/70.
La Corte d’appello di Napoli, ex adverso, aveva reputato che i fatti accertati erano molto gravi, anche in ragione delle mansioni di cassiera svolte, e tali da ledere in modo irreversibile il rapporto fiduciario.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la lavoratrice duolendosi, tra l’altro, del mancato accertamento delle proprie giustificazioni addotte in sede di procedimento disciplinare, laddove, si era evidenziato che anche altri addetti avevano operato presso il medesimo punto cassa, senza cambiare il “codice operatore” e pertanto sarebbe mancata la prova circa la riconducibilità ad essa dei fatti oggetto di contestazione.
Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso evidenziando, in primis, l’inammissibilità della rivalutazione delle prove, non consentita in sede di legittimità. A fronte di un accertamento, adeguatamente motivato dalla Corte di merito, hanno continuato gli Ermellini, è stato ritenuto provato che la lavoratrice, nei giorni e negli orari oggetto della contestazione disciplinare, era addetta alla cassa e, pertanto, non bastava affermare genericamente che si era temporaneamente “alzata” dalla postazione cassa, per essere indenne da ogni responsabilità, ma occorreva dimostrare chi l’avesse sostituita.
Invero, hanno concluso gli Ermellini rigettando il ricorso, anche il giudizio di proporzionalità della sanzione, a differenza di quanto denunciato dalla lavoratrice, era stato perfettamente operato dalla Corte territoriale che aveva ravvisato la gravità dei fatti commessi tale da ledere, in modo irreversibile, il rapporto fiduciario, anche sotto il profilo della proporzionalità della sanzione, indipendentemente dal valore dei beni acquistati personalmente dalla dipendente: proporzionalità della sanzione espulsiva valutata anche ai fini della prognosi futura di comportamenti improntati al rispetto e alla correttezza degli obblighi aziendali discendenti dal particolare rapporto di lavoro esistente tra le parti.