Licenziato il dipendente che in malattia collabora nell’attività di famiglia
E’ stato confermato, dal Tribunale di Foggia, il licenziamento per giusta causa che una società aveva comminato ad un proprio dipendente per aver prestato altra attività lavorativa presso terzi durante l’assenza dal lavoro per malattia.
Nella contestazione disciplinare, le condotte poste in essere erano state ritenute indicative della simulazione della malattia ovvero dell’inidoneità della stessa a determinare uno stato di incapacità lavorativa e a giustificare quindi l’assenza dal lavoro.
Anche qualora la malattia fosse stata sussistente – era precisato nella lettera di contestazione – il lavoratore aveva ripetutamente violato il dovere di non pregiudicare i tempi di rientro a lavoro e i generali doveri di buona fede e correttezza e degli obblighi di diligenza e fedeltà.
Il dipendente aveva impugnato il recesso, deducendo l’insussistenza del fatto materiale addebitatogli, avendo certificato lo stato di malattia e non avendo il datore di lavoro chiesto interventi di verifica della malattia stessa.
Egli aveva inoltre contestato le indagini investigative svolte dal datore di lavoro, asserendo che gli unici preposti ad accertare la malattia sono i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti.
Malattia del lavoratore, verifiche anche tramite accertamenti investigativi
Secondo il Tribunale adito, i fatti oggetto di addebito erano risultati documentati nonché ammessi dallo stesso ricorrente.
Era infatti pacifica l’assenza per malattia del dipendente, come da certificazione mediche in atti, e il fatto che il medesimo avesse aiutato per “mero spirito di collaborazione familiare” – come dallo stesso ammesso – lo zio della moglie, gestore di un pub, che era a “corto di personale”, peraltro recandosi sul posto in monopattino, benché fosse novembre ed egli fosse “ammalato”.
Tali condotte, poste in essere durante il periodo di malattia, risultavano provate dalla relazione investigativa prodotta dal datore, relazione che, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, poteva legittimamente essere valutata ai fini della prova.
Sul punto, il giudice del lavoro ha richiamato il prevalente orientamento giurisprudenziale secondo cui le informazioni sul lavoratore raccolte dal datore di lavoro mediante il ricorso ad accertamenti investigativi non sono in contrasto con gli artt. 5 e 8 St. Lav. qualora abbiano ad oggetto fatti rilevanti al fine di valutare l’attitudine professionale del dipendente, nella cui sfera può farsi rientrare anche, come nel caso di specie, la condizione di malattia o di inidoneità fisica del lavoratore.
Violati i generali doveri di buona fede e correttezza: recesso
Per il lavoratore assente per malattia – si legge nell’ordinanza del Tribunale di Foggia del 16 dicembre 2022 – non sussiste un divieto assoluto di prestare, durante l’assenza, un’attività lavorativa in favore di terzi, “purché questa non evidenzi una simulazione di infermità, ovvero importi violazione del divieto di concorrenza, ovvero ancora, compromettendo la guarigione del lavoratore, implichi inosservanza al dovere di fedeltà imposto al prestatore d’opera”.
Il dipendente malato, infatti, deve fare tutto il possibile per guarire presto, ma soprattutto deve evitare comportamenti – siano essi lavorativi o di svago e divertimento – anche solo potenzialmente idonei a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio.
Nel caso in esame, l’espletamento di altra attività lavorativa o di mera collaborazione familiare da parte del lavoratore durante lo stato di malattia era da ritenere idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buonafede nell’adempimento dell’obbligazione.
Le attività poste in essere erano di per sè indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione.
Trattandosi di comportamento immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, in quanto contrario al cd. minimo etico, doveva ritenersi sussistente anche l’elemento psicologico.
In definitiva, le condotte contestate al ricorrente rappresentavano violazioni di tale entità da non consentire la prosecuzione, neppure temporanea, del rapporto di lavoro, tenuto conto della violazione gravemente colposa dei doveri di lealtà e correttezza e della natura degli addebiti.
Essendo venuto meno il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e dipendente, era legittimo che la società avesse provveduto a sanzionare quest’ultimo con il licenziamento disciplinare per giusta causa….
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