La Cassazione, con l’ordinanza n. 17036, precisa che in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’obbligo datoriale di repêchage, anche ai sensi del novellato articolo 2103, secondo comma, del codice civile, è limitato alle mansioni inferiori compatibili con il bagaglio professionale di cui il lavoratore sia dotato al momento del licenziamento, che non necessitino di una specifica formazione che il predetto non abbia.
Gli interessi in gioco
Questo significa – precisa la Cassazione con ordinanza n. 17036/24 – che in occasione di una riorganizzazione aziendale devono essere tutelati, sia l’interesse del datore a proseguire l’attività sia quello del prestatore a mantenere il posto e quindi a non essere licenziato. La Cassazione però con il principio di diritto enunciato ha voluto precisare che il datore non ha un obbligo di formazione nei confronti del lavoratore per adibirlo a mansioni inferiori. E quindi il repêchage si intende eseguito legittimamente anche in presenza di lavoratori licenziandi che per proseguire la carriera dovrebbero essere riqualificati e a tal proposito fa testo il posto ricoperto dal lavoratore al momento del licenziamento. Quindi il datore è in regola se dimostra che i lavoratori non sono indirizzabili verso un’attività di rango inferiore a meno di un’attività di formazione (che non compete più al datore).
L’obbligo del datore di lavoro
Ebbene, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, giova ribadire il principio dell’obbligo del datore di lavoro di provare che il lavoratore non abbia la capacità professionale richiesta per occupare la diversa posizione libera in azienda, in base a circostanze oggettivamente riscontrabili, altrimenti il rispetto dell’obbligo di repêchage sostanzialmente risulterebbe affidato a una mera valutazione discrezionale dell’imprenditore.