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Quota 100 e divieto di cumulo con i redditi da lavoro

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 234 del 24 novembre 2022, ha dichiarato la legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, nella parte in cui prevede la non cumulabilità della pensione anticipata “Quota 100” con i redditi da lavoro, fatta eccezione per quelli da lavoro autonomo occasionale entro il limite di 5.000 euro lordi annui. In particolare, il Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice del lavoro, aveva richiesto la verifica della disposizione e la sua eventuale violazione dell’art. 3, primo comma, della Costituzione, là dove non prevede identica esenzione per i redditi da lavoro dipendente,  con particolare riferimento al lavoro intermittente, per il quale non è prevista contribuzione nelle giornate di non “chiamata” ed in assenza di indennità di disponibilità.

Questa, in sintesi, la decisione della Consulta.

In ragione della diversità delle situazioni lavorative poste a raffronto, si deve escludere che sia costituzionalmente illegittimo il difforme trattamento riservato, ai fini del divieto di cumulo con la pensione anticipata a “quota 100”, ai redditi da esse derivanti. L’assenza di omogeneità fra le prestazioni di lavoro qui esaminate porta alla conclusione che non è violato il principio di eguaglianza.

La scelta del legislatore, volta a diversificare il trattamento previsto per il divieto di cumulo, non risulta costituzionalmente illegittima neppure considerando la sproporzione che può in concreto determinarsi – come nella fattispecie oggetto del giudizio principale – fra l’entità dei redditi da lavoro percepiti dal pensionato che ha usufruito della cosiddetta “quota 100” e i ratei di pensione la cui erogazione è sospesa.

Non si può non considerare l’eccezionalità della misura pensionistica in esame, che ha consentito, per il triennio 2019-2021, il ritiro dal lavoro all’età di 62 anni, con un’anzianità contributiva di almeno 38 anni, senza penalizzazioni nel calcolo della rendita. Nell’adottare una disciplina sperimentale, il legislatore ha configurato un regime di quiescenza disciplinato da regole molto più favorevoli rispetto al sistema ordinario. La prevista sospensione del trattamento di quiescenza in caso di violazione del divieto di cumulo è, per l’appunto, rivolta a garantire un’effettiva uscita del pensionato che ha raggiunto la cosiddetta “quota 100” dal mercato del lavoro, anche al fine di creare nuova occupazione e favorire il ricambio generazionale, all’interno di un sistema previdenziale sostenibile.

Nel regime ora descritto, la percezione da parte del pensionato di redditi da lavoro, qualunque ne sia l’entità, costituisce elemento fattuale che contraddice il presupposto richiesto dal legislatore per usufruire di tale favorevole trattamento pensionistico anticipato e mette a rischio l’obiettivo occupazionale.

Anche in questa prospettiva, l’assenza di omogeneità fra le situazioni lavorative poste a raffronto dal rimettente risulta decisiva per escludere la fondatezza della questione.

Il lavoro autonomo occasionale, per la sua natura residuale, non incide in modo diretto e significativo sulle dinamiche occupazionali, né su quelle previdenziali e si differenzia per questo dal lavoro subordinato, sia pure nella modalità flessibile del lavoro intermittente.