La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 14114, depositata il 23 maggio 2023, ha stabilito la legittimità del licenziamento del dipendente a fronte di una sua condanna definitiva risalente nel tempo e relativa a un episodio di violenza sessuale verificatosi quasi quindici anni addietro.
Nel caso in esame un lavoratore impugnava il licenziamento comminatogli a seguito di condanna penale, avvenuta molto tempo prima, per violenza sessuale perpetrata ai danni di una minore all’interno di una discoteca.
Sia i Giudici di primo grado che quelli d’Appello ritenevano illegittimo il licenziamento disponendo la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro atteso che ritenevano “insussistente il fatto contestato al lavoratore”. In particolare, i Giudici d’Appello sostenevano che la condotta contestata al lavoratore, tenuto conto del tempo trascorso da quel fatto che comunque era rimasto isolato e che il comportamento addebitato si era realizzato al di fuori dell’attività lavorativa, non avesse rilievo nello svolgimento di mansioni a contatto con la clientela e, pertanto, il fatto, non avendo rilievo disciplinare, doveva essere ritenuto inesistente.
Inevitabile il ricorso in Cassazione che censura severamente il ragionamento seguito dai giudici di primo e secondo grado. Secondo gli Ermellini, infatti, il comportamento per il quale il lavoratore era stato condannato penalmente, sebbene risalente nel tempo, rivestiva “un carattere di gravità che non può essere suscettibile di attenuazione solo per effetto del tempo trascorso, dato del tutto neutro. Né tale condotta può esser considerata meno grave, secondo il diffuso comune sentire, sol perché si è svolta in un luogo deputato al divertimento: una violenza sessuale ai danni di una minorenne, in qualsiasi contesto sia commessa, è, secondo uno standard socialmente condiviso, una condotta che, per quanto di per sé estranea al rapporto di lavoro, è idonea a ledere il vincolo fiduciario con l’azienda, e ciò a prescindere dal contesto in cui la violenza è stata commessa e dal tempo trascorso dal fatto, a maggior ragione ove l’attività lavorativa svolta ponga il lavoratore a diretto contatto col pubblico“. I Giudici ritenevano, inoltre, che nel valutare la distanza temporale tra il fatto e l’incidenza sul vincolo fiduciario i giudici di merito avrebbero dovuto tenere conto del momento in cui la società era venuta a conoscenza del fatto, atteso che tale elemento rilevava non soltanto ai fini di una valutazione della tempestività della reazione datoriale ma anche nella verifica della persistenza del rapporto fiduciario che deve sorreggere la relazione tra datore di lavoro e lavoratore.
La Corte Suprema ribadiva che il licenziamento senza preavviso trova applicazione nel caso di condanna passata in giudicato per condotta commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, qualora i fatti costituenti reato possano comunque assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario ed è pertanto necessario “valutare la gravità del fatto costituente reato per come accertato e valutato in sede penale, e con efficacia di giudicato, senza che a tal fine rilevino altri elementi di contorno esterni, quale ad esempio il tempo trascorso e l’unicità dell’episodio” contestato al lavoratore.