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Permessi 104 e malattia: abusi puniti in base all’intensità della violazione

La lesione del vincolo fiduciario tra datore e lavoratore è il trait d’union di due casi di licenziamento sui quali si è recentemente espressa la giurisprudenza di merito, giungendo a conclusioni opposte. In un caso, la violazione è stata ritenuta scarsamente rilevante, nel secondo caso invece decisiva in sfavore del dipendente licenziato.

Licenziamento illegittimo

 

Il 25 ottobre 2023 la Corte d’appello di Perugia ha ritenuto illegittimo il licenziamento per giusta causa di una lavoratrice sorpresa a fare jogging durante le giornate di permesso retribuito ottenute grazie alla legge 104/1992 per assistere un parente disabile. Secondo la Corte, il dipendente è legittimato a ritagliarsi un breve lasso di tempo per proprie esigenze personali durante la giornata dedicata all’assistenza del congiunto, anche per recuperare energie spese nell’attività di cura della persona bisognosa.

Il permesso ottenuto in base alla legge 104/1992 non impone inoltre che il lavoratore resti per tutto il tempo al capezzale del malato e non è escluso quindi che il dipendente possa dedicare del tempo a sé, a condizione che sia limitato, e fermo restando che l’assenza dal servizio deve restare in relazione causale diretta con l’assistenza al familiare disabile. Quando sussiste il nesso causale tra la fruizione del permesso e il beneficio per il familiare malato non si configura alcun abuso del diritto e dunque violazione dei principi di correttezza e buona fede (si veda anche la sentenza del Tribunale di Ascoli 311 del 13 ottobre 2023).

Licenziamento legittimo

 

Il Tribunale di Castrovillari, il 27 ottobre 2023 ha invece giudicato legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente in malattia sorpreso a fare shopping con la moglie. Il comportamento, infatti, non solo rischia di ritardare la guarigione, ma lede anche il vincolo fiduciario. Continuando a protrarsi lo stato di malattia del dipendente, il datore di lavoro aveva affidato a un’agenzia investigativa il compito di verificare il suo comportamento: era emerso che durante le giornate in malattia il lavoratore era uscito più volte nelle fasce orarie di reperibilità per recarsi in negozi. Il Tribunale ha ritenuto che questi comportamenti configurassero gravi inadempimenti degli obblighi contrattuali, tali da giustificare il licenziamento per giusta causa, in difetto di adeguata giustificazione.

La linea sui permessi 104

 

In tema di permessi retribuiti ex articolo 104, l’apprezzamento in giurisprudenza della violazione del vincolo fiduciario ha condotto a risultati non uniformi e talvolta contrastanti. In alcuni casi, è stato stabilito che il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che, in relazione al permesso ex articolo 33 della legge 104/1992, si avvalga dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integrasse l’ipotesi dell’abuso di diritto. Tale condotta risulta – secondo questa linea – nei confronti del datore di lavoro come lesiva della buona fede, sottraendogli illegittimamente la prestazione lavorativa; si pone in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente e integra, nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità e uno sviamento dell’intervento assistenziale.

In altre pronunce, è stato deciso che solo ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto, ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo, che genera la responsabilità del dipendente. Non mancano poi pronunce secondo le quali la condotta del dipendente che abbia utilizzato un piccolo numero di ore di permesso (sulle complessive riconosciute) per svolgere attività che nulla hanno a che fare nemmeno indirettamente con l’assistenza del parente disabile (come il caso del jogging citato), è disciplinarmente rilevante, ma non di gravità tale da incrinare irrimediabilmente il vincolo fiduciario. Ne consegue che il licenziamento irrogato in tali casi è illegittimo.

La linea sulla malattia

 

Una maggiore uniformità si riscontra invece nella giurisprudenza in tema di assenze per malattia.

Il lavoratore assente perché malato non deve astenersi da ogni altra attività, lavorativa o extralavorativa, purché questa attività sia compatibile con lo stato di malattia e con il dovere del lavoratore di adottare ogni cautela idonea perché cessi lo stato di malattia stesso. I doveri di correttezza e buona fede sono violati, e giustificano il licenziamento, solo quando l’attività svolta è indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute e al dovere di non ritardare la guarigione. Così, non sussiste per il lavoratore assente per malattia un divieto assoluto di prestare – durante l’ assenza – attività lavorativa in favore di terzi, purché questa non evidenzi una simulazione di infermità, o comporti una violazione al divieto di concorrenza, ovvero ancora, compromettendo la guarigione del lavoratore, implichi inosservanza al dovere di fedeltà imposto al prestatore di lavoro.

Si può quindi ritenere che l’intensità della violazione della normativa sui permessi e sulla malattia sia il principale discrimine tra la legittimità e l’illegittimità della condotta del dipendente. Con le conseguenze che ne derivano sul piano della sanzione.

Fonte Norme & Tributi Plus – Il Sole 24ore