La dipendente che ha una fidelity card ove scaricare i punti di clienti occasionali non può essere licenziata. Non si tratta, infatti, secondo la Cassazione di un comportamento così grave da legittimare l’interruzione del rapporto lavorativo. Lo puntualizzano i giudici di legittimità con l’ordinanza n. 35516/23.
La vicenda
Entrando nel merito dei fatti una lavoratrice era stata licenziata senza preavviso dalla propria azienda il 21 dicembre 2016 all’esito di una contestazione disciplinare (ricevuta il 21 novembre 2016) con cui le era stato imputato di avere creato una fittizia carta fedeltà (intestata a una persona inesistente), di averla utilizzata in più occasioni (tutte specificate) “per acquisti effettuati da clienti in modo da ottenere un indebito accumulo di punti nonché uno stato di “Card Platinum”, così privando “i clienti stessi della possibilità di sottoscrivere la propria fidelity”: condotte realizzate dalla lavoratrice a danno e detrimento degli interessi della società e a suo proprio ed esclusivo vantaggio per interessi del tutto personali.
I giudici di merito
La Corte di appello di Firenze, con la sentenza n. 176/2020, ha concluso, conformemente al giudice della fase sommaria, per la inesistenza del fatto contestato condannando la società, in considerazione dell’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegrazione da parte della lavoratrice, al pagamento della indennità sostitutiva della reintegrazione oltre al risarcimento del danno nella misura di dodici mensilità, nulla detraendo per l’espletamento di altra attività lavorativa reperita a distanza di oltre un anno dal licenziamento. Contro la sentenza di merito ha presentato ricorso in Cassazione l’azienda secondo cui la lavoratrice aveva ammesso inequivocamente che, in aperta violazione delle disposizioni e procedure aziendali e, specificamente, del Manuale per la Sicurezza e la Prevenzione delle Differenze Inventariali nonché del Codice Etico e Disciplinare, era stata creata artificiosamente una Carta Fedeltà, intestata a un nominativo fittizio e associata al numero di cellulare della dipendente, alterando il programma fedeltà in atto e generando un danno economico di circa 4mila euro in capo alla società, di talché proporzionata era la sanzione espulsiva ex articolo 2119 del codice civile.
Il verdetto della Cassazione
La Cassazione ha respinto il ricorso della società. I Supremi giudici , infatti, hanno ribadito il fondamentale principio affermato in sede di legittimità secondo cui la giusta causa di licenziamento, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. In definitiva la Cassazione (così come la Corte territoriale) si è schierata apertamente dalla parte della dipendente in quanto ciò che era stato effettuato dal prestatore andava solo minimamente ad arrecare un danno all’azienda e la lavoratrice, inoltre, non era l’unica a beneficiare dei punti “lasciati” dai clienti occasionali.