In base alle circostanze del caso concreto, ivi inclusi i precedenti disciplinari risalenti a oltre due anni prima, il ritardo può rappresentare un episodio di gravità tale da interrompere in modo irreparabile il nesso fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro. Così la Corte di cassazione, con l’ordinanza 26770/2024 del 15 ottobre.
Il caso trae origine dal licenziamento per giusta causa intimato da una società di vigilanza a un dipendente, a seguito del ritardo nell’inizio di un turno di servizio. In particolare, la società aveva modificato i turni e comunicato la variazione tramite Sms, che il lavoratore aveva ammesso di aver letto, ma in maniera distratta, motivo per cui si era recato sul luogo di lavoro con 40 minuti di ritardo e solo a seguito della chiamata da parte della centrale operativa.
La Corte d’appello di L’Aquila, in riforma della sentenza del Tribunale che aveva rilevato il difetto di proporzionalità della sanzione irrogata, accoglieva l’appello proposto dalla società, avendo questa fornito idonea prova della sussistenza di una grave violazione da parte del lavoratore dell’obbligo di diligenza e delle regole di correttezza e buona fede in base agli articoli 1175 e 1375 del Codice civile. In virtù della peculiarità del servizio di vigilanza, la Corte riteneva non condivisibile la posizione del Tribunale per cui l’addebito era da considerarsi di lieve entità. Al contrario, la disattenzione del lavoratore aveva lasciato l’istituto di credito committente privo del servizio di vigilanza per oltre 40 minuti, con conseguente concreto rischio di azioni criminose, rappresentando quindi una grave negligenza. Inoltre, ai fini della valutazione di gravità della condotta del lavoratore, secondo la Corte d’appello influivano negativamente le sanzioni irrogate nel biennio precedente, rilevanti ai fini della recidiva (articolo 7 della legge 300/1970 e articolo 32 del Ccnl di categoria applicato).
Di particolare interesse, infine, appare il rilievo della Corte di appello per cui, nella valutazione della legittimità del licenziamento, assumeva «un ruolo non secondario» anche la fase pregressa del rapporto di lavoro, costellata da numerosi procedimenti disciplinari conclusi con sanzioni conservative, ancorché risalenti a oltre due anni prima, non ostando a tale valutazione la disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’articolo 7.
Il dipendente ricorreva in Cassazione lamentando, tra le altre, omessa motivazione circa la disapplicazione del Ccnl applicato al rapporto di lavoro, che non elenca il ritardo tra le condotte punibili con il licenziamento. La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso escludendo, in primis, la carenza di motivazione, in quanto la Corte d’appello, valutando la relativa disciplina, aveva affermato che non rilevasse la regolamentazione contrattuale in materia di comportamenti disciplinari, mentre aveva attribuito rilevanza ai precedenti disciplinari e alla recidiva in base all’articolo 32 del Ccnl.
Per la Corte d’appello, la condotta negligente, l’inadeguatezza delle giustificazioni, la scarsa consapevolezza dei rischi correlati ai servizi di vigilanza, la presenza di svariati precedenti disciplinari e la recidiva erano tutte circostanze che rendevano l’episodio di gravità tale da potersi ritenere interrotto irreparabilmente il nesso fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro. Ragionamento condiviso dalla Suprema corte, per cui il giudice non può limitarsi a verificare se il fatto addebitato sia riconducibile a una previsione contrattuale, essendo comunque tenuto a valutare in concreto la condotta addebitata e la proporzionalità della sanzione.
E invero, la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo sono nozioni legali, secondo la legge 604/1966 e l’articolo 2119 del Codice civile, alla cui stregua va valutata la gravità dell’addebito, ma la tipizzazione delle cause di recesso contenuta nella contrattazione collettiva non è vincolante, potendo il catalogo delle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo essere esteso o ridotto, in base alle circostanze del caso concreto.