Share:

Licenziamento discriminatorio e motivazione legittima

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 2414 del 27 gennaio 2022, afferma che il motivo legittimo posto alla base del licenziamento intimato al lavoratore, non esclude la nullità dell’atto di recesso, se viene accertata la presenza di un’ulteriore motivazione discriminatoria.

Nel caso de quo un lavoratore impugnava il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, deducendo che la malattia era causalmente da collegare all’illegittima condotta datoriale e che l’atto di recesso era invece motivato dalla volontà discriminatoria del datore di lavoro, per l’attività sindacale prestata dal dipendente. Sia in primo, che in secondo grado, la sua domanda veniva rigettata.

Il lavoratore ricorreva dunque in Cassazione. La Suprema Corte afferma che, l’accertamento sul carattere ritorsivo o discriminatorio del licenziamento non è necessariamente escluso in presenza di una legittima causa di recesso dal rapporto di lavoro, come, nel caso in oggetto, il superamento del periodo di comporto.

Secondo un orientamento già precisato in precedenti pronunce della Corte, infatti, nei casi cui venga provato dal lavoratore il carattere ritorsivo del licenziamento, volto ad accertare la nullità dell’atto di recesso per motivo illecito, occorre che l’intento ritorsivo del datore di lavoro venga riconosciuto come determinante, ossia costituisca l’unica ragione del recesso dal rapporto di lavoro.

Viceversa, l’unicità della motivazione alla base del recesso non assume rilevanza, in caso di licenziamento discriminatorio, che si può accompagnare anche ad un’altra motivazione ritenuta legittima. In questo caso, infatti, la presenza di un motivo legittimo non esclude la nullità del licenziamento, laddove venga accertata la natura discriminatoria dello stesso.