Obbligo di repêchage da considerare con attenzione in caso di licenziamenti per motivi economici. Alcune recenti pronunce della Cassazione hanno ribadito l’importanza della ricognizione del datore di lavoro che intenda procedere a un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sulla possibilità di adibire il lavoratore destinatario del recesso a diverse – anche inferiori – mansioni. Pena, l’illegittimità del recesso.
Con la sentenza 12132/2023, la Corte di cassazione ha esteso ai posti di lavoro di prossima liberazione i termini dell’istituto di matrice giurisprudenziale del repêchage. La Corte ha ribadito che l’onere probatorio della mancata possibilità di “ripescaggio” deve essere assolto dal datore di lavoro, dimostrando, ad esempio: che al tempo del recesso i posti di lavoro residui erano stabilmente occupati e che dopo il licenziamento (per un congruo arco temporale successivo: Cassazione, 31495/2018) non è stata effettuata alcuna nuova assunzione a tempo indeterminato in qualifica analoga a quella del lavoratore licenziato; che il lavoratore non aveva la capacità professionale richiesta per occupare una diversa posizione libera in azienda (Cassazione, 6085/2021 e 23340/2018); che non sussistono, al momento del licenziamento, posizioni analoghe a quella soppressa e che il lavoratore non ha prestato consenso alla prospettata possibilità di reimpiego in mansioni inferiori, rientranti nel suo bagaglio professionale (Cassazione, 24491/2019); il datore di lavoro non è tenuto a fornire una diversa formazione al lavoratore per la salvaguardia del posto di lavoro (Cassazione 5981/2022 e 7218/2021).
Con riguardo al lavoratore che contesta il mancato repêchage, la giurisprudenza è divisa in tre filoni (e prevale il secondo):
1 al lavoratore compete solo l’onere di allegare elementi utili a individuare una sua possibile ricollocazione (tenuto conto che egli non è tenuto a conoscere i dettagli dell’organizzazione aziendale e quindi l’esistenza di posizioni di lavoro analoghe a quelle da lui occupate);
2 l’onere di allegazione e di prova è interamente a carico del datore di lavoro, senza che il lavoratore debba individuare posti vacanti o possibilità di ricollocazione diverse (Cassazione, 6084/2021; 4673/2021; 29165/2018; 5592/2016);
3 il lavoratore deve indicare in maniera specifica quali siano concretamente le eventuali posizioni lavorative alternative cui egli potrebbe essere utilmente collocato (Cassazione 19353/2013).
Se nel breve periodo immediatamente successivo al licenziamento l’azienda procede a nuove assunzioni per ricoprire mansioni equivalenti a quelle svolte dal dipendente licenziato, opera una presunzione di illegittimità del licenziamento stesso. Tuttavia, in una riorganizzazione aziendale, è possibile licenziare dei dipendenti per soppressione delle posizioni da questi ricoperte e assumerne di nuovi, qualora i nuovi assunti non vadano a ricoprire le posizioni lasciate vacanti dai dipendenti licenziati.
La rigorosa prova della impossibilità di ricollocare il lavoratore ad altra posizione è sempre stata considerata una condizione di validità del licenziamento così intimato; i confini dell’istituto, in assenza di un’espressa e univoca indicazione legislativa, si sono gradualmente dilatati, tant’è che giurisprudenza di legittimità molto recente ha altresì affermato che la prospettazione relativa all’impossibilità di ricollocare il lavoratore deve essere data in modo chiaro allo stesso.
Diverso è il discorso per la verifica dell’obbligo di ricollocazione per il personale con qualifica dirigenziale: in questo caso, la giurisprudenza della Cassazione ha statuito che l’obbligo non esiste. Tale eventualità è inconciliabile con la stessa posizione dirigenziale del lavoratore: posizione che, d’altro canto, giustifica la libera recedibilità del datore di lavoro senza che possano essere richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza per la diversa ipotesi del licenziamento per giustificato motivo del non dirigente (Cassazione, 2895/2023 e 1581/2023).
Le pronunce
Posti di prossima liberazione
Il giudice del merito deve considerare adempiuto l’obbligo di repêchage solo se il datore ha tenuto in considerazione anche l’assenza di posizioni lavorative di prossima liberazione nel contesto aziendale e di possibile assegnazione per il lavoratore che intende licenziare. Cassazione, sentenza 12132 dell’8 maggio 2023
Riduzione delle ore di lavoro
Perché si possa sostenere che la richiesta di riduzione delle ore di lavoro costituisca un tentativo di repêchage, il datore di lavoro deve dimostrare l’esistenza di effettive esigenze tecnico-organizzative in base alle quali la prestazione di quel lavoratore non possa essere mantenuta a tempo pieno.
Cassazione, ordinanza 12244 del 9 maggio 2023
I dirigenti sono esclusi
In caso di licenziamento del dirigente per esigenze di ristrutturazione aziendale è esclusa la possibilità del repêchage, in quanto incompatibile con la posizione dirigenziale del lavoratore, assistita da un regime di libera recedibilità del datore di lavoro.
Cassazione, ordinanza 2895 del 31 gennaio 2023
Il repêchage nei gruppi
La pretesa illegittimità del licenziamento, perché l’obbligo di repêchage avrebbe dovuto investire l’intera posizione del gruppo che detiene il 100% della società resistente, non è condivisibile. Questa prospettazione presuppone la prova della sussistenza di una condizione di “codatorialità”, ovvero di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro: solo in questo caso si impone che l’assolvimento dell’obbligo di “repêchage” sia valutato in relazione a tutte le società del gruppo.
Tribunale di Trani, sez. lavoro, sentenza 426 del 2 marzo 2023
La soppressione del posto
In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo il datore di lavoro deve provare che la sua scelta imprenditoriale abbia comportato la soppressione del posto di lavoro e che le ragioni addotte a sostegno della modifica organizzativa da lui attuata abbiano inciso, in termini di causa efficiente, sulla posizione lavorativa ricoperta dal lavoratore licenziato, dimostrando altresì l’assolvimento dell’obbligo di ripescaggio.
Cassazione, ordinanza 5981 del 23 febbraio 2022
Inidoneità alla mansione
Nel caso di inidoneità sopravvenuta del dipendente allo svolgimento delle mansioni per le quali è stato inizialmente assunto, sussiste l’obbligo di repêchage: il datore di lavoro deve valutare la possibilità di collocare il dipendente presso un altro reparto o adibirlo ad altre e diverse mansioni – incluse quelle inferiori – prima di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Tribunale di Parma, sez. lavoro, sent. 85 del 15 settembre 2022
Violazione: scatta la reintegra
Il mancato assolvimento dell’obbligo di repêchage conduce alla reintegra in base all’articolo 18, comma 7 dello Statuto dei lavoratori: il ripescaggio è un elemento costitutivo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la cui mancanza determina l’insussistenza del fatto.
Tribunale di Ravenna, sez. lavoro, sentenza del 31 maggio 2022