Una società, a seguito delle risultanze emerse durante un’indagine investigativa, aveva avviato un procedimento disciplinare nei confronti di un proprio dipendente, dirigente sindacale provinciale, per aver fruito in maniera illegittima dei permessi sindacali ottenuti per due giorni. Ciò in quanto durante detti giorni non aveva svolto attività sindacale ma aveva accompagnato fuori regione il figlio che doveva partecipare alle prove selettive per l’arruolamento volontario nelle Forze Armate.
Il dipendente impugnava giudizialmente il licenziamento, eccependo che:
- fosse in contrasto con gli artt. 23 e 24 Legge 300/70 sui permessi sindacali rispettivamente retribuiti e non retribuiti;
- il numero di giorni di assenza non fosse idoneo a giustificare il provvedimento espulsivo adottato e
- la relazione investigava, oltre ad essere errata quanto agli orari, era inutilizzabile in giudizio per violazione della privacy poiché l’attività investigativa era iniziata durante un periodo di ferie.
Il dipendente chiedeva la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna della società datrice di lavoro al pagamento dell’indennità risarcitoria.
Il Tribunale, all’esito della c.d. fase sommaria, concludeva per il rigetto dell’impugnazione e, con sentenza, poi rigettava l’opposizione dallo stesso proposta.
Anche la Corte d’Appello successivamente adita rigettava il ricorso proposto contro la decisione di primo grado, sottolineando, fra le altre, che:
1. la contestazione disciplinare non riguardava l’assenza ingiustificata dal lavoro ma l’illegittima fruizione dei permessi sindacali in due giorni;
2. dall’istruttoria era emerso che nei due giorni per cui aveva ottenuto permessi sindacali il lavoratore si era recato fuori dalla regione con il figlio e vi era rimasto senza svolgere alcuna attività sindacale;
3. l’investigatore privato aveva confermato la sua relazione, in cui erano ben descritti tutti i suoi spostamenti e le attività svolte nei due giorni incriminati;
4. non vi era stata alcuna violazione della privacy poiché il controllo era stato effettuato in luoghi pubblici e finalizzato ad accertare le cause effettive della richiesta dei permessi sindacali;
5. pur ammettendo che la tutela dei permessi fosse quella ex art. 30 della Legge n. 300/1970 in materia di permessi per i dirigenti provinciali e nazionali, vi era stato comunque uno sviamento dell’interesse sotteso (ossia la tutela dei diritti sindacali da parte di un dirigente sindacale provinciale), essendo stato l’istituto adoperato per meri interessi personali ed individuali.
La Corte distrettuale riteneva anche corrette le valutazioni del Tribunale circa la proporzionalità fra la sanzione comminata e l’infrazione commessa, vista l’irreparabile lesione del vincolo fiduciario. Non si era trattato di una mera assenza ingiustificata bensì di una illegittima fruizione dei permessi sindacali retribuiti da parte di un dirigente sindacale provinciale.
Avverso la sentenza d’appello il lavoratore decideva di ricorrere in cassazione a cui resisteva la società con controricorso. Entrambe le parti depositavano memorie.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione investita della causa, innanzitutto, afferma che il lavoratore, nel difendere la sua posizione, ha travisato il significato e la portata del principio di diritto enunciato nella sentenza n. 11759/2023 da lui stesso invocata. La sentenza in questione se è vero che considera il diritto al permesso in capo al dirigente sindacale provinciale come un diritto potestativo è, altrettanto, vero che in essa si legge quanto segue: al “(…) datore di lavoro spetta il diritto al controllo per accertare l’effettiva partecipazione dei sindacalisti, fruitori di tali permessi, alle riunioni degli organi direttivi, nazionali o provinciali”.
Pertanto, contrariamente a quanto asserito dal lavoratore, detta sentenza non fa altro che confermare la correttezza della decisione assunta dai giudici di merito.
Secondo la Corte di Cassazione non rileva neanche la sentenza n. 6495/2021, anch’essa invocata dal lavoratore, perché in quel caso era stato accertato che il dirigente sindacale, nei giorni per i quali aveva ottenuto il permesso sindacale, aveva svolto attività che “pur non riconducibili allo schema della riunione sindacale, rientravano comunque nell’ambito di quelle proprie dell’incarico sindacale ricoperto”.
Nella fattispecie in esame, invece, il permesso sindacale era stato utilizzato per due giorni di seguito per soddisfare esigenze esclusivamente personali e familiari.
La Corte di Cassazione respinge, altresì, la doglianza circa la mancata valutazione del CCNL di settore che per tale infrazione prevederebbe una sanzione conservativa. La Corte d’appello, nel formulare la sua decisione, ha spiegato che la fattispecie concreta è rappresentata non da un’assenza ingiustificata ma dall’uso illegittimo e fraudolento di permessi sindacali.
Inoltre, la Corte di Cassazione concorda con la Corte distrettuale laddove ha precisato che la lettera di contestazione riportava le ragioni a fondamento, facendo espresso riferimento alla fruizione di permesso sindacale utilizzato per finalità diverse da quelle per cui era stato riconosciuto. Oltretutto, sottolinea la Corte di Cassazione, la Corte distrettuale aveva evidenziato che i motivi erano stati anche chiaramente riportati nella lettera di licenziamento.
In considerazione di quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso presentato dal lavoratore, condannandolo al rimborso delle spese di lite.