La Corte di Cassazione, ordinanza n° 19522 dell’8 luglio 2021, ha statuito in ordine alla piena legittimità di un accordo demansionamento sul presupposto che in assenza il datore avrebbe dovuto procedere alla cessazione del rapporto di lavoro.
La sentenza de qua si palesa estremamente interessante in quanto, pur se riferita a fatti avvenuti nel 2012, prima – quindi – della riforma dell’art. 2103 c.c., avvenuta nell’anno 2015, con il D.lgs. 81/2015, afferma la conformità alla Legge di un patto di demansionamento finalizzato ad evitare il licenziamento del lavoratore.
La vicenda trae origine dall’appello proposto da un lavoratore avverso la sentenza della Corte territoriale bolognese che aveva escluso la riconoscibilità della dequalificazione del subordinato, per essere stato utilizzato in mansioni proprie della qualifica E2 dal 2 aprile 2012, in forza di un patto di dequalificazione accettato dal lavoratore con la lettera 5 aprile 2012, legittimo per conformità all’Accordo integrativo aziendale del 22 novembre 2011 e per la documentata finalità di evitargli la perdita del posto di lavoro.
Gli Ermellini, inserendosi in quella – ormai granitica – giurisprudenza di legittimità hanno (ri)affermato il seguente principio di diritto: “è legittimo il patto di demansionamento stipulato dal lavoratore, in difetto di soluzioni alternative all’estinzione del rapporto di lavoro, ai soli fini di evitare il licenziamento o fatti prodromici allo stesso, non solo ove sia promosso dalla consapevole richiesta del lavoratore, ma anche quando l’iniziativa sia stata presa dal datore di lavoro, sempreché vi sia il consenso del lavoratore e sussistano le condizioni che avrebbero legittimato il licenziamento in mancanza dell’accordo”.