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Lavoratore che svolge altra attività durante la malattia e licenziamento giusta causa

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 12994 del 12 maggio 2023, (ri)statuisce la legittimità del licenziamento del dipendente che durante il periodo di malattia svolga un’altra attività lavorativa.

Nel caso esaminato, il datore di lavoro licenziava per giusta causa un lavoratore, previa contestazione di simulazione di infortunio sul lavoro e di aggravamento dello stato di malattia, a causa dello svolgimento di attività lavorativa incompatibile con il suo stato di salute.

Il lavoratore impugnava giudizialmente il licenziamento, che veniva qualificato come illegittimo in primo grado. Viceversa, la Corte Distrettuale, in secondo grado di giudizio, rigettando l’impugnazione del licenziamento, affermava che il comportamento del lavoratore era contrario ai doveri di diligenza, fedeltà correttezza e buona fede, con sottrazione illegittima alla prestazione lavorativa ed abuso del beneficio concesso dalla legge. Avverso la sentenza, il lavoratore ricorreva in Cassazione.

I giudici di Piazza Cavour, confermando la sentenza di secondo grado affermano che lo svolgimento dell’attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura violazione degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, nonché dei generici doveri di correttezza e buona fede, sia quando l’attività esterna sia sufficiente a fare presumere l’inesistenza della malattia, sia quando la stessa possa comportare pregiudizio o ritardare la guarigione.

Resta però a carico del datore di lavoro l’onere di provare la simulazione dello stato morboso o il pregiudizio alla guarigione, in quanto l’art. 5 della Legge n. 604/1966 pone a suo carico di provare tutti gli elementi posti alla base del licenziamento e quindi tutte le circostanze oggettive e soggettive.

Orbene, nel caso in oggetto i Giudici di merito avevano correttamente applicato tali principi accertando che la condotta del lavoratore aveva ostacolato o comunque ritardato la guarigione, e rappresentava una violazione dei doveri di diligenza, correttezza e buona fede, tale da giustificare il recesso dal rapporto di lavoro.

Fonte Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli