La Corte di Cassazione, con sentenza n. 7670 del 9 marzo 2022, ha sancito la legittimità della risoluzione del rapporto di lavoro instaurato con un medico che operava in convenzione per il Servizio di emergenza territoriale (118) che era stato giudicato inidoneo per le difficoltà manifestate sia nelle operazioni di trasporto dei pazienti in ambulanza, che nei turni notturni.
Nel caso in trattazione, un medico addetto ai Servizi di emergenza territoriale proponeva domanda volta ad ottenere il riconoscimento dell’illegittimità della risoluzione del rapporto convenzionato e il risarcimento del danno per perdita delle retribuzioni, a seguito di un accertamento compiuto dalla Commissione medica di valutazione in merito alla sua capacità psico-fisica a svolgere l’attività convenzionata. Nello specifico, la Commissione medica di valutazione aveva dichiarato la non idoneità alle mansioni di “medico del Servizio di emergenza territoriale”, seppure con idoneità a svolgere mansioni differenti, e, poco dopo, l’Azienda sanitaria locale aveva provveduto a notificare la cessazione dell’incarico.
I giudici d’Appello, in parziale riforma della decisione assunta dal Tribunale di primo grado, rigettavano totalmente la domanda proposta dal medico, ritenendo legittima la decisione presa dall’Azienda sanitaria, atteso che dal giudizio della Commissione era risultato chiaro che il medico non fosse idoneo a svolgere né le mansioni di addetto ai Servizi di emergenza territoriale previste nella convenzione, né le attività sui mezzi mobili di soccorso. La Corte assumeva, inoltre, che la decisione fosse in linea con una nota dell’amministrazione da cui si evinceva che il medico aveva manifestato difficoltà all’espletamento, non solo dei servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza, ma anche dei turni notturni, creando evidenti difficoltà di organizzazione del servizio.
Avverso tale sentenza il medico ricorreva in Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell’Accordo Collettivo Nazionale 2005, art. 19, comma 1, lett. f) e art. 92, comma 11, in relazione al potere di valutazione della Commissione Medica, sostenendo che detta Commissione non potesse valutare l’idoneità generale a svolgere la professione e che, pertanto, il giudizio di inidoneità espresso non poteva che ritenersi riferito esclusivamente alle mansioni svolte specificatamente nel momento di sottoposizione a visita, con dichiarazione, invece, della sua idoneità rispetto alle altre mansioni. Il ricorrente sosteneva, infatti, che l’Azienda Sanitaria non avrebbe potuto risolvere il rapporto non sussistendo il presupposto previsto dall’ACN e che la stessa, considerata l’idoneità alle altre mansioni, avrebbe dovuto applicare l’art. 92, comma 11 del citato Accordo (obbligo di repechage).
La Corte Suprema, condividendo la decisione emessa in secondo grado, sanciva che “la inidoneità del medico a svolgere l’attività convenzionata legittimava la cessazione del rapporto” decisa dall’Azienda sanitaria. Secondo gli Ermellini, infatti, risultava determinante il giudizio di inidoneità espresso dalla Commissione medica di valutazione, sia perché esso faceva riferimento a “tutti i servizi dell’emergenza territoriale” sia perché avallata anche da altri elementi probatori prodotti in giudizio dall’Azienda sanitaria, come la nota dell’amministrazione da cui si evinceva l’insofferenza del medico anche ai turni notturni.
Per la Corte, in conclusione, la risoluzione del rapporto era legittima in quanto il medico era titolare di convenzione solo per il Servizio di emergenza sanitaria e per tale incarico era stato dichiarato inidoneo dalla Commissione medica di valutazione.