Con nota n° 1959 del 30 settembre 2022, la Direzione Centrale Coordinamento Giuridico dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, alla luce della recente sentenza della Cassazione, n° 26246 del 6 settembre 2022, fornisce chiarimenti riguardo la decorrenza del termine quinquennale di prescrizione dei crediti da lavoro al fine di garantire al personale ispettivo una corretta adozione del provvedimento di diffida accertativa.
Fino al 2020, la Corte di Cassazione, in deroga al principio di cui all’art. 2935 c.c. – in base al quale la prescrizione di un diritto inizia a decorrere dal momento in cui lo stesso può essere esercitato – aveva espresso l’orientamento secondo cui, per i crediti di lavoro, la decorrenza non operasse necessariamente in costanza di rapporto di lavoro, ritenendo che il lavoratore si potesse trovare in una condizione di timore, tale da indurlo a rinunciare ai propri diritti, almeno fino alla cessazione del rapporto stesso.
Tale condizione di sudditanza psicologica richiedeva tuttavia un esame in concreto caso per caso, da valutare a cura dell’Autorità giudiziaria adita dal lavoratore per far valere le proprie pretese; valutazione che doveva prendere in considerazione tanto la sussistenza di una tutela reale a favore del lavoratore, quanto di un concreto timore del licenziamento strettamente connesso alla stabilità del rapporto di lavoro.
Ne derivava che, avendo la diffida accertativa ad oggetto crediti certi, liquidi ed esigibili e, come tali, non fondati su elementi suscettibili di interpretazione, il personale ispettivo avrebbe dovuto considerare a tal fine solo i crediti da lavoro il cui termine quinquennale di prescrizione, decorrente dal primo giorno utile per far valere il diritto di credito anche se in costanza di rapporto di lavoro, non fosse ancora maturato, tenendo conto altresì degli eventuali atti interruttivi intercorsi.
Ad oggi, con la sentenza n° 26246 del 6 settembre 2022, questo orientamento risulta ormai inadeguato e, pertanto, deve essere superato. Secondo la Cassazione, in primis sarebbe fonte di incertezza affidare ex post la valutazione sulla stabilità o meno di un impiego caso per caso, generando storture e situazioni di difformità di trattamento, in secondo luogo, non si terrebbe in debita considerazione la profonda evoluzione della materia lavoristica in ordine alla tutela reintegratoria – conseguenza di un licenziamento illegittimo – che, se prima rappresentava una pietra miliare dello Statuto dei lavoratori, ad oggi assume carattere residuale, determinando un crescente timore del dipendente – nei confronti del datore di lavoro – per la sorte del rapporto, ove egli intenda far valere un proprio credito nel corso dello stesso.
La Suprema Corte ha infatti affermato che: “il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92/2012 e del D.lgs. n. 23/2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92/2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro”.
In altre parole, dato che, secondo la normativa attualmente vigente, ad un licenziamento illegittimo non segue necessariamente una reintegrazione nel posto di lavoro, il lavoratore potrebbe essere scoraggiato nel rivendicare i propri diritti in costanza di rapporto, facendo così decorrere infruttuosamente i termini di prescrizione degli stessi. Una garanzia forte, dunque, è quella di stabilire a priori, indipendentemente dalla discrezionalità del Giudice chiamato a vagliare per le singole controversie il grado di incertezza in cui versa la posizione del lavoratore, che il dies a quo per la prescrizione dei crediti di lavoro decorra dal momento della cessazione del rapporto.
Su tale presupposto, il personale ispettivo dovrà considerare oggetto di diffida accertativa i crediti (certi, liquidi ed esigibili) di cui il lavoratore è titolare fino, però, a cinque anni dalla data di risoluzione del contratto.
La Direzione Centrale Coordinamento Giuridico prosegue sottolineando che fa eccezione a tale principio di diritto l’impiego pubblico. I rapporti nel pubblico impiego, infatti, godono di una particolare disciplina normativa che ne assicura la stabilità e la garanzia di rimedi giurisdizionali avverso la loro eventuale e illegittima risoluzione, così da escludere che il timor del licenziamento possa indurre l’impiegato a rinunziare ai propri diritti. Per effetto di tale considerazione, nei rapporti di pubblico impiego il termine di prescrizione quinquennale per crediti di lavoro decorrere in costanza di rapporto di lavoro dal momento in cui il diritto può essere fatto valere.