La verifica sulla “giusta retribuzione”, ovvero sulla conformità ai parametri costituzionali di adeguatezza e sufficienza in base all’articolo 36 della Costituzione del trattamento retributivo applicato ai lavoratori, si applica anche al contratto collettivo nazionale del settore produttivo in cui opera l’impresa firmato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
In linea con i più recenti approdi della Cassazione, va ribadito che il giudice gode di ampia discrezionalità nella determinazione della giusta retribuzione, potendosi discostare dai minimi tabellari della contrattazione collettiva di settore servendosi di criteri di valutazione e di parametri differenti, con il solo obbligo di adeguata e puntuale esposizione dei propri indicatori.
Il ccnl firmato dalle sigle sindacali maggiori del settore merceologico/produttivo costituisce un parametro di riferimento per valutare la giusta retribuzione, questo è un dato acquisito, ma non è certamente l’unico. Anche il ccnl “leader” può essere oggetto di indagine se viene in rilievo il rispetto dell’articolo 36 della Costituzione. In tal caso, il giudice è chiamato a utilizzare parametri alternativi quali la soglia di povertà calcolata dall’Istat, l’importo della Naspi, il trattamento di Cig, il valore del reddito di cittadinanza e la soglia di reddito per accedere alla pensione di inabilità. Si tratta di indicatori che costituiscono, in effetti, forme di sostegno al reddito la cui funzione è di garantire al beneficiario «una mera sopravvivenza». Pertanto, essi vanno integrati con altri strumenti di computo e parametri, nazionali e internazionali, allo scopo di completare la verifica di sufficienza e proporzionalità delle retribuzioni applicate ai lavoratori.
In questo ambito, per dare piena attuazione al precetto del giusto salario costituzionale, in linea con le indicazioni rese dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, occorre considerare sia le necessità materiali della persona (cibo, vestiario, alloggio), sia la partecipazione dei lavoratori alla vita sociale, culturale ed educativa. Né si può prescindere dalla Direttiva UE 2022/2041 sul salario minimo adeguato, il cui obiettivo è di favorire il miglioramento dei valori più bassi per ridurre la forbice rispetto ai livelli retributivi più alti, promuovendo la «convergenza sociale verso l’alto» dei salari minimi.
Facendo applicazione di questi articolati principi, la Corte d’appello di Milano (sentenza 3 gennaio 2024 n. 960) ha confermato la domanda di un operatore di volo di Ita Spa a mantenere il trattamento retributivo ordinario e l’indennità di volo nella misura precedente il rinnovo del Ccnl Trasporto Aereo, parte specifica Vettori. La Corte ha riconosciuto, in proposito, come i livelli retributivi introdotti con il rinnovo del ccnl fossero inferiori a quelli precedenti, censurandone l’inidoneità al rispetto del diritto dei lavoratori ad una retribuzione proporzionata e sufficiente in linea con l’articolo 36 della Carta costituzionale.
Si afferma in sentenza che la Costituzione fissa un limite «oltre il quale non si può scendere» e si conclude che il principio si applica a «qualsiasi contrattazione collettiva», perché in nessun caso la determinazione del livello della retribuzione può tradursi in fattore di «dumping salariale».
La decisione dei giudici milanesi è la conferma che l’applicazione dei contratti collettivi di settore firmati dalle sigle sindacali maggiori non mette l’impresa necessariamente al riparo da contestazioni sull’adeguatezza dei livelli retributivi. All’aumento del costo della vita corrisponde la diminuzione del potere di acquisto e nel quadro presente i minimi tabellari dei contratto collettivo nazionale potrebbero non assicurare sempre adeguata garanzia.