L’impresa che trasporta merci su strada, per conto terzi, ha l’obbligo di comunicare al Garante della privacy il trattamento dei dati personali dei clienti acquisiti attraverso la geolocalizzazione. La Corte di cassazione, con la sentenza 26987 depositata ieri, accoglie il ricorso del Garante, contro la decisione del Tribunale di annullare la sanzione amministrativa, per la mancata comunicazione. I giudici di merito avevano, infatti, ritenuto che la Srl, che esercitava solo il servizio di trasporto, non avesse alcuno obbligo di notificazione, dal momento che i sistemi di geolocalizzazione erano stati ideati e sviluppati dalla Spa di spedizioni appaltante per fornire servizi alla sua utenza. Mentre i trasportatori si erano limitati a fornire i mezzi sui quali erano montati i Gps, e gli autisti.
Per la Cassazione però la messa a disposizione delle credenziali per accedere ai dati di geolocalizzazione dei clienti è una condizione sufficiente, per considerare l’azienda di trasporti titolare del trattamento. Un “trasferimento” del potere di accedere ai dati che il Tribunale aveva trascurato, ma che è invece fondamentale, perché comporta un potere decisionale «sulle finalità e sulle modalità di trattamento al quale allude l’articolo 28 del Codice della privacy».
Sempre di ieri il Garante della privacy ha segnato in Cassazione un altro punto a suo favore. Con la sentenza 26989, la Suprema corte ha infatti accolto il ricorso contro la decisione del Tribunale di escludere la sanzione per la mancata comunicazione del trattamento di dati personali, da parte di una clinica privata, acquisiti attraverso un servizio di prenotazione delle visite on line. Una decisione che i giudici di merito avevano preso valorizzando la buona fede della struttura che aveva omesso la notifica al Garante, nel rispetto di una circolare dell’associazione italiana ospedalità privata, secondo la quale le associate dovevano considerarsi esonerate dall’obbligo. Un’indicazione che, ad avviso del Tribunale, aveva indotto i destinatari a credere di aver agito correttamente. Per la Cassazione è una motivazione semplicistica. Perché per escludere la responsabilità per l’illecito amministrativo non basta la convinzione di aver seguito le indicazioni dell’associazione di categoria, ma va accertata l’assenza di colpa dell’autore della violazione. E nel caso esaminato c’è una presunzione di colpa. Le associazioni di categoria sono organismi privati e il compito a loro attribuito di illustrare agli associati il senso delle norme di legge, non esonera questi ultimi dal dovere di verificare personalmente quali sono i loro doveri.