In materia di emersione dal lavoro irregolare, il Tar della Sicilia, con sentenza del 17 gennaio 2022, n. 159. ha chiarito che, se la normativa, se, da un lato, pone una soglia minima per la presentazione anche di una sola istanza nel settore agricolo (30.000,00 euro), dall’altro lato, non prevede che detta soglia minima debba essere automaticamente moltiplicata per il numero dei lavoratori da regolarizzare. L’ITL è tenuto a verificare la “congruità della capacità economica del datore di lavoro in rapporto al numero delle richieste presentate”, e quindi la loro accoglibilità. Tale verifica non può risolversi in una mera operazione matematica (30.000 euro per straniero), ma deve necessariamente passare attraverso una analisi della capacità economica e delle esigenze dell’impresa, anche in relazione agli impegni retributivi ed assicurativi previsti dalla normativa vigente e dai CCNL.
Nella specie, il ricorrente, straniero presente sul territorio nazionale, impugna il provvedimento con il quale è stata rigettata la domanda di emersione dal lavoro irregolare presentata, in suo favore, dal datore di lavoro, unitamente ad altre due analoghe richieste, ai sensi dell’art. 103 D.L. 34/2020. Il rigetto è motivato in ragione della insufficienza della soglia reddituale minima quantificata in Euro 30.000,00 “per ciascun lavoratore dipendente”.
In particolare, avverso il provvedimento impugnato, si deduce:
1) il difetto di istruttoria e di motivazione, atteso che l’Ispettorato Territoriale del Lavoro ha ritenuto l’esistenza di un reddito insufficiente in capo al datore di lavoro, senza effettuare la verifica di congruità del fatturato prodotto, ai sensi dell’art. 30 bis, c. 8, d.P.R. n. 394/99 e limitandosi a moltiplicare la soglia minima di fatturato richiesta per il numero di lavoratori rispetto ai quali veniva avanzata istanza di emersione;
2) l’erronea valutazione dei presupposti di fatto, atteso che è stato preso come riferimento il reddito dell’anno precedente alla domanda di emersione (2019) e non quello dell’anno in corso – 2020 (poi prodotto in sede di dichiarazione IVA 2021), sulla base del quale, anche applicando il criterio rigidamente matematico (di Euro 30.000,00 per ciascun straniero da regolarizzare), il ricorrente avrebbe avuto diritto ad ottenere il provvedimento favorevole;
3) la disparità di trattamento rispetto ai due ulteriori lavoratori regolarizzati, sulla base esclusivamente dell’ordine cronologico di presentazione dell’istanza di emersione.
Ebbene, nel pronunciarsi sul caso, i Giudici hanno ritenuto il ricorso fondato, ricordando, innanzitutto, che l’art. 103, c. 1, D.L. 34/2020, conv. in L. n. 77/2020, recita: “Al fine di garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria connessa alla calamità derivante dalla diffusione del contagio da -COVID-19 e favorire l’emersione di rapporti di lavoro irregolari, i datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero i datori di lavoro stranieri in possesso del titolo di soggiorno previsto dall’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, possono presentare istanza, con le modalità di cui ai commi 4, 5, 6 e 7, per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto 6 di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o cittadini stranieri. A tal fine, i cittadini stranieri devono essere stati sottoposti a rilievi fotodattiloscopici prima dell’8 marzo 2020 ovvero devono aver soggiornato in Italia precedentemente alla suddetta data, in forza della dichiarazione di presenza, resa ai sensi della legge 28 maggio 2007, n. 68 o di attestazioni costituite da documentazione di data certa proveniente da organismi pubblici; in entrambi i casi, i cittadini stranieri non devono aver lasciato il territorio nazionale dall’8 marzo 2020”. Il comma 3 del medesimo articolo individua poi il campo di applicazione della norma, nel quale rientrano le dichiarazioni presentate dall’odierno ricorrente: “a) agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse”. Il successivo comma 4 prevede, inoltre, che “Nell’istanza di cui al comma 1 sono indicate la durata del contratto di lavoro e la retribuzione convenuta, non inferiore a quella prevista dal contratto collettivo di lavoro di riferimento stipulato dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
Il Decreto Ministeriale del 27/05/2020, all’art. 9 stabilisce, inoltre, al comma 1, che “l’ammissione alla procedura di emersione è condizionata all’attestazione del possesso, da parte del datore di lavoro persona fisica, ente o società, di un reddito imponibile o di un fatturato risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi o dal bilancio di esercizio precedente non inferiore a 30.000,00 euro annui …”;
– al comma 4, primo periodo, che “In caso di dichiarazione di emersione presentata allo Sportello Unico dal medesimo datore di lavoro per più lavoratori, ai fini della sussistenza del requisito reddituale … la congruità della capacità economica del datore di lavoro in rapporto al numero delle richieste presentate, è valutata dall’Ispettorato territoriale del lavoro, ai sensi del comma 8 dell’art. 30-bis del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, sulla base dei contratti collettivi di lavoro indicati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e delle tabelle del costo medio orario del lavoro emanate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali adottate ai sensi dell’art. 23, comma 16 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”;
– al comma 4, secondo periodo, che “Nel caso in cui la capacità economica del datore di lavoro non risulti congrua in relazione alla totalità delle istanze presentate, le stesse possono essere accolte limitatamente ai lavoratori per i quali, in base all’ordine cronologico di presentazione delle istanze, i requisiti reddituali risultano congrui.”
La circolare n. 1395/2020 del Ministero dell’Interno ha previsto, poi, che “per il lavoro subordinato il reddito imponibile o fatturato, quali risultanti dall’ultima dichiarazione dei redditi o dal bilancio di esercizio precedente, debba essere non inferiore a 30.000,00 € annui”. La predetta circolare ha specificato inoltre che “qualora venga presentata una dichiarazione di emersione da medesimo datore di lavoro per più lavoratori, la valutazione della capacità economica del datore di lavoro è rimessa all’I.T.L., ai sensi dell’art. 30 bis, comma 8, del D.P.R. 394/99 e, in ogni caso, le istanze presentate potranno essere accolte limitatamente ai lavoratori per i quali, in base all’ordine cronologico di presentazione, i requisiti reddituali risultino congrui”. Sotto tale profilo, dunque, non si può fare a meno di richiamare, infine, l’art. 30 bis, comma 8, del DPR 394/1999, secondo il quale “Lo Sportello unico, fermo quanto previsto dall’articolo 30-quinquies, procede alla verifica della regolarità, della completezza e dell’idoneità della documentazione presentata ai sensi del comma 1, nonché acquisisce dalla Direzione provinciale del lavoro, anche in via telematica, la verifica dell’osservanza delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro applicabile alla fattispecie e la congruità del numero delle richieste presentate, per il medesimo periodo, dallo stesso datore di lavoro, in relazione alla sua capacità economica e alle esigenze dell’impresa, anche in relazione agli impegni retributivi ed assicurativi previsti dalla normativa vigente e dai contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria applicabili. La disposizione relativa alla verifica della congruità in rapporto alla capacità economica del datore di lavoro non si applica al datore di lavoro affetto da patologie o handicap che ne limitano l’autosufficienza, il quale intende assumere un lavoratore straniero addetto alla sua assistenza”.
Ciò premesso, ad avviso dei Giudici, alla luce del suddetto quadro normativo, emerge come correttamente il Legislatore abbia inteso perseguire l’interesse alla regolarizzazione degli stranieri privi di permesso di soggiorno, i quali svolgono la propria prestazione d’opera secondo le forme del lavoro subordinato senza un regolare contratto, passando attraverso una verifica della capacità dell’impresa istante di dimostrare la solidità aziendale e, conseguentemente, la veridicità delle dichiarazioni rese e ciò al fine di poter stipulare un regolare contratto di lavoro, nel rispetto delle norme di categoria applicabili.
La normativa di riferimento è peraltro chiara nel fissare una soglia minima di 30.000,00 euro di fatturato riferita al bilancio di esercizio dell’anno precedente a quello della presentazione dell’istanza.
E’ pertanto inconferente il richiamo di parte ricorrente al bilancio di esercizio in corso, ovvero a quello successivo.
Del pari inconferente è la censura relativa al pregiudizio che il ricorrente subirebbe dal fatto che la sua istanza di emersione sarebbe stata presentata per ultima dal datore di lavoro. Il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità secondo ragionevolezza, ha posto come limite al prospettato “pericolo” che il reddito del datore di lavoro non consenta la “capienza” di tutte le istanze presentate, proprio quello dell’ordine di presentazione delle stesse. Tale elemento fattuale, oltre a costituire un criterio oggettivo, è comunque dipendente dalle scelte dell’imprenditore che intende regolarizzare lo straniero, rispondendo preliminarmente ad un interesse dello stesso datore di lavoro (che intende evitare sanzioni per il lavoro irregolare) e poi a quello generale ad una corretta alimentazione del gettito delle finanze pubbliche ed al fisiologico dispiegarsi dei rapporti di lavoro subordinato, secondo i principi costituzionali di tutela della dignità del lavoratore e contrasto allo sfruttamento.
La normativa, se, da un lato, pone una soglia minima per la presentazione anche di una sola istanza nel settore agricolo (30.000,00 euro), dall’altro lato, non prevede che detta soglia minima debba essere automaticamente moltiplicata per il numero dei lavoratori da regolarizzare.
Una interpretazione restrittiva nel senso prospettato nel provvedimento impugnato cozzerebbe con il tenore letterale e con la ratio logico-sistematica della norma, svuotando di significato il c. 4, dell’art. 9 d.m. 27/5/2020, che – nel prefigurare una possibile concomitanza di plurime istanze da parte dello stesso datore di lavoro – affida all’Ispettorato territoriale del lavoro il giudizio sulla “congruità della capacità economica del datore di lavoro in rapporto al numero delle richieste presentate”, e quindi la verifica sulla loro accoglibilità.
Tale verifica di congruità, se, da un lato, non può esimersi dal transitare attraverso giudizi di contabilità aziendale, non può risolversi in una mera operazione matematica (30.000 euro per straniero), ma deve necessariamente passare attraverso una analisi della capacità economica e delle esigenze dell’impresa, anche in relazione agli impegni retributivi ed assicurativi previsti dalla normativa vigente e dai contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria applicabili.