La Corte di Cassazione, sentenza n° 16376 del 10 giugno 2021, ha (ri)confermato che nell’ipotesi di contratto di lavoro regolato da contratto collettivo non corrispondente a quello dell’attività svolta, il lavoratore non può richiedere l’applicazione di un contratto collettivo diverso, se il datore di lavoro non vi è obbligato per appartenenza sindacale.
Nel caso de quo, un lavoratore con mansioni di autista con inquadramento al III livello S del CCNL Trasporti, aveva richiesto ed ottenuto, con decreto ingiuntivo, il pagamento della somma relativa alla mancata corresponsione degli aumenti contrattuali previsti dal rinnovo del CCNL Trasporto Merci Industria per il periodo dall’1.6.2013 al 30.9.2014.
Sia il Tribunale che la Corte di Appello di Genova, in sede di gravame, avevano respinto il ricorso in opposizione della società datrice, applicando alla questione controversa i principi generali civilistici in materia di efficacia dei contratti in capo alle parti stipulanti senza considerare che il rinnovo contrattuale in questione, del 2013, non era stato sottoscritto da parte dell’associazione sindacale che rappresentava la società datrice, e solo con successivo accordo del 2015 era intervenuta una accettazione da parte di quei sindacati dei lavoratori e quelli datoriali che non avevano ancora aderito; a seguito dell’adesione era stata altresì prevista l’una tantum per il periodo scoperto, tra l’altro puntualmente erogata dalla società.
Secondo i Giudici di appello, fermo restando il principio dell’autonomia negoziale delle parti, sul piano del rapporto individuale di lavoro opera la tutela assicurata dall’art. 36 Cost., volta a garantire l’adeguatezza della retribuzione, laddove il parametro più attendibile per la quantificazione della giusta retribuzione è il contratto collettivo, diretto a riflettere il livello di retribuzione più adeguato in relazione alla situazione economica contingente, pertanto, il riferimento al mancato pagamento degli aumenti contrattuali, poteva trovare legittimo accoglimento, quantomeno per la differenza tra l’importo spettante e quello stabilito dalla successiva una tantum già corrisposta.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società.
Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso ricordando che la questione giuridica esaminata è stata risolta dalle Sezioni Unite, con la pronuncia n° 2665/1997, attraverso l’enunciazione del seguente principio: “l’art. 2070 c.c., comma 1 (in base al quale l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore) non opera nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, che ha efficacia vincolante limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti e a coloro che, esplicitamente o implicitamente, al contratto abbiano prestato adesione; con la conseguenza che il lavoratore non può aspirare all’applicazione di un contratto collettivo diverso, se il datore di lavoro non vi è obbligato per appartenenza sindacale, ma solo eventualmente richiamare tale disciplina come termine di riferimento per la determinazione della retribuzione ex articolo 36 Cost., deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel contratto applicato“.
Da ultimo, hanno concluso gli Ermellini, i Giudici di merito avevano ancorato la presunzione di inadeguatezza della retribuzione corrisposta nel periodo di cui si tratta esclusivamente sulla base degli aumenti retributivi stabiliti dal CCNL Trasporto Merci Industria rinnovato nel 2013, non applicabile però al rapporto in esame, perché la parte datoriale non era affiliata ad alcuna delle organizzazioni stipulanti, senza alcuna considerazione, invece, della volontà espressa dalle parti collettive nel negoziare il successivo accordo del 2015, direttamente applicabile al rapporto in controversia.