La Corte di Cassazione, ordinanza n° 25055 del 22 agosto 2022, ha chiarito che, in caso di trasferimento di aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, l’accordo sindacale può prevedere deroghe all’art. 2112 c.c. concernenti le condizioni di lavoro, fermo restando, in caso di continuazione o mancata cessazione dell’attività, l’obbligo di trasferimento di tutti i lavoratori.
Occasione della pronuncia è stata l’espulsione di un dipendente, all’esito di licenziamento collettivo da parte di ALITALIA CAI, interessata da procedura di cessione d’azienda per accertata crisi aziendale.
In pieno contrasto con la decisione del Tribunale, la Corte d’Appello aveva dichiarato l’illegittimità del recesso datoriale disponendo la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro (chiaramente presso l’azienda cessionaria) ed il risarcimento pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per violazione dei criteri di scelta; difatti, il lavoratore aveva pienamente dimostrato di essere stato scartato per mancato riconoscimento dei titoli abilitativi da lui posseduti e, pertanto, l’azienda cessionaria non poteva accampare la sua esclusione, così come previsto dagli accordi sindacali conclusi durante la cessione.
All’esito del giudizio di merito, la società cessionaria ricorreva in Cassazione lamentando la violazione dell’art. 47, comma 4-bis, L. 428/1990, che invece consente di derogare al principio di mantenimento dei diritti dei lavoratori, ex art. 2112 c.c., in caso di trasferimento di aziende in crisi.
Per i Giudici di Piazza Cavour, tuttavia, l’interpretazione del comma 4-bis presenta una declinazione diversa: benché sia possibile derogare alle tutele previste dal Codice civile in ambito di trasferimento di aziende in crisi, l’accordo sindacale deputato alla salvaguardia dell’occupazione può prevedere deroghe –anche in peius– ma con riferimento alle condizioni di lavoro e non al trasferimento automatico dei dipendenti al cessionario.
L’orientamento della Cassazione, tra l’altro, muove dall’indirizzo dettato dalla Corte di Giustizia che ha messo in chiaro come la condizione di crisi aziendale non sia di per sé motivo economico per una riduzione dell’occupazione né motivo di licenziamento, dato che, a differenza di altre fattispecie – come procedure di liquidazione et similia in cui non è prevista una continuazione dell’attività – per la crisi aziendale, invece, l’obiettivo è proprio quello di favorirne una ripresa futura.