La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 16929 del 25 maggio 2022, ha statuito che non spettano i buoni pasto alla lavoratrice madre che, usufruendo dei permessi per l’allattamento, non raggiunga le sei ore di lavoro nella giornata. Irrilevante, precisano i giudici, che ai fini della retribuzione vi sia l’assimilazione delle ore di permesso concesse dall’azienda a quelle di lavoro.
Nel caso in esame sette lavoratrici, ritenendo di averne diritto, agivano nei confronti dell’Agenzia delle Dogane per l’ottenimento dei buoni pasto per i giorni di lavoro in cui avevano usufruito dei permessi per l’allattamento. I Giudici di merito ritenevano fondata la richiesta sostenendo che le ore di permesso riconosciute alle lavoratrici siano da considerarsi ore lavorative agli effetti della retribuzione del lavoro, senza che rilevi l’assenza di una pausa destinata alla consumazione del pasto. Osservavano, inoltre, che il permesso per allattamento prevede il diritto di uscire dall’azienda e quindi, “non può l’esercizio di tale diritto comportare la perdita del beneficio dei buoni pasto“, anche se ne è derivata l’assenza di pausa.
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, avverso la decisione della Corte di Appello, proponeva ricorso per cassazione lamentando violazione e falsa applicazione del D. Lgs. n.151 del 2001. La Corte Suprema, confermando l’orientamento prevalente della Corte, richiamava il principio secondo cui in tema di pubblico impiego, l’attribuzione del buono pasto è condizionata all’effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, che il lavoratore osservi un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore (oppure altro orario superiore minimo indicato dalla contrattazione collettiva). Di conseguenza, i buoni pasto non potevano essere attribuiti alle lavoratrici che, beneficiando delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, avevano osservato un orario di lavoro inferiore alle suddette sei ore, né poteva valere l’equiparazione dei periodi di riposo alle ore lavorative, che vale ai soli effetti della durata e della retribuzione del lavoro, in quanto, precisavano i Giudici, “l’attribuzione dei buoni pasto non riguarda né la durata, né la retribuzione del lavoro ma è finalizzata a compensare l’estensione dell’orario lavorativo disposta dalla pubblica amministrazione, con una agevolazione di carattere assistenziale diretta a consentire il recupero delle energie psico-fisiche dei lavoratori“.
Riguardo alla non necessaria coincidenza tra buono pasto ed esistenza nell’orario di lavoro di una pausa pranzo asserita dalle lavoratrici, la Corte riteneva che il contratto collettivo di riferimento subordina il diritto al buono pasto all’effettuazione di un orario di lavoro ordinario superiore alle sei ore, con la relativa pausa al cui interno va consumato il pasto, risultando irrilevante che i permessi consentano l’uscita dal luogo di lavoro, in quanto ciò non significa che essi abbiano la natura di pausa pranzo.
In conclusione, i Magistrati accogliendo l’azione proposta dall’Agenzia delle Dogane, sancivano che le lavoratrici, nei giorni in cui avevano usufruito dei permessi per allattamento, avessero lavorato solo 5 ore e 12 minuti e, pertanto, non avessero diritto ai buoni pasto.