La Corte di Cassazione, ordinanza n° 26709 del 1° ottobre 2021 ha (ri)statuito che sono due le ipotesi in cui lo svolgimento di altra attività da parte del dipendente assente per malattia possono comportare licenziamento per giusta causa in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) e degli specifichi obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà (artt. 2104 e 2105 c.c.).
La prima ipotesi si sostanzia laddove tale attività esterna sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando quindi, una simulazione fraudolenta; parimenti, il recesso del datore di lavoro è ugualmente legittimo e sorretto da giusta causa qualora tale attività esterna, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare/ritardare anche solo potenzialmente la guarigione e/o il rientro in servizio.
Il caso esaminato ha riguardato un licenziamento intimato dal datore di lavoro al lavoratore subordinato per aver tenuto, durante il periodo di malattia, uno stile di vita non compatibile (spostamento di pesanti sacchetti di terriccio) con la patologia (lombosciatalgia acuta) che lo affliggeva e idoneo a pregiudicarne il rientro a lavoro.
In linea con il Tribunale prima e con la Corte distrettuale poi, in forza delle conclusioni rassegnate dal CTU, gli Ermellini si sono pronunciati a favore della legittimità del licenziamento, essendosi il lavoratore sottoposto a sforzi tali da ritardare -anche solo potenzialmente- il rientro in servizio. Assoluta irrilevanza è stata conferita alla tempestiva ripresa del lavoro alla scadenza del periodo di malattia.