La Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza 30788 del 2 dicembre 2024, torna a pronunciarsi in tema di accesso ai benefici contributivi e possesso del Durc, in una controversia relativa a pretese contributiva INPS derivanti dall’illegittima fruizione di sgravi da parte di un’azienda per la quale erano state accertate, con verbale ispettivo e conseguente avviso di addebito, violazioni degli obblighi contributivi, con conseguente applicazione dell’art. 1, comma 1175 della legge 296/2006 (presupposti per la fruizione degli sgravi).
La peculiarità del caso consiste nel fatto che, a fronte di un accertamento di un debito contributivo divenuto definitivo, per un determinato periodo di tempo (nel caso di specie dicembre 2014-marzo 2015) l’azienda aveva presentato ad Inps dichiarazioni mensili Uniemens dove affermava di aver diritto al pagamento della contribuzione in misura ridotta per legittima fruizione di sgravi. Persistendo l’inadempimento l’Inps aveva formato avviso di addebito; tuttavia, l’azienda contestualmente aveva chiesto ed ottenuto il Durc. A fronte di queste indicazioni contraddittorie, la società riteneva di aver diritto agli sgravi, essendo in possesso del Durc regolare.
La questione si presta ad un’interessante precisazione, da parte della Cassazione, delle modalità di esercizio del potere amministrativo/autoritativo da parte dell’amministrazione, in relazione al profilo della tenuta degli atti amministrativi favorevoli al privato in sede di successiva revisione o nuovo esame.
La norma di riferimento è rappresentata dall’art. 1, comma 1175 cit. secondo cui i benefici normativi e contributivi sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del Durc. Ma questo non è l’unico requisito: occorre anche l’assenza di violazioni in materia di lavoro e legislazione sociale, nonché il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Secondo la cassazione il dato da evidenziare è proprio questo. Il possesso del DURC e quindi il fatto che l’Inps non abbia segnalato eventuali irregolarità ostative al suo rilascio, non determina di per sé in alcun modo l’inesigibilità delle differenze contributive rispetto agli sgravi, in quanto l’inadempimento ha una sua rilevanza oggettiva in punto di inosservanza degli obblighi inerenti la regolarità contributiva i cui effetti non possono ricadere sull’INPS.
Dunque, il possesso del DURC di per sé non può essere inteso come dimostrazione del possesso di tutti i requisiti per l’accesso agli sgravi, in quanto all’Istituto non può essere impedito, anche a fronte del rilascio del DURC, di valutare la rilevanza oggettiva di un inadempimento e procedere quindi al recupero di quanto non versato. Il DURC è condizione necessaria ma non sufficiente per fruire dei benefici contributivi, in quanto la norma richiede l’assenza di violazioni in materia di lavoro e legislazione sociale e il rispetto degli accordi e contratti collettivi.
È su questo punto che si apre la delicatissima questione dei rapporti tra decisioni amministrative comunicate all’esterno e successive determinazioni di segno apparentemente contrario da parte dell’amministrazione. In concreto, nella fattispecie che riguarda la contribuzione previdenziale, entra in gioco anche il profilo della assoluta indisponibilità dell’obbligo contributivo (si pensi alla disciplina in tema di prescrizione).
E allora, gli atti che l’INPS pone in essere in ordine alla gestione del credito contributivo hanno natura meramente ricognitiva, nel senso che l’amministrazione può sempre tornare su sue decisioni interne e su provvedimenti amministrativi già emanati, ove rilevi l’esistenza di presupposti oggettivi per la permanenza dell’obbligo contributivo.
In effetti, è su questo che si misura il potere autoritativo dell’amministrazione, che, a fronte di presupposti oggettivi esistenti in ordine all’obbligo contributivo, può in qualunque momento (nei limiti della prescrizione) attivarsi per il recupero, indipendentemente da atti precedentemente emanati, per i quali non valgono le garanzie formali e sostanziali (Cass. 256/2001).
Il problema semmai si sposta sulla tutela dell’affidamento del cittadino nella correttezza dei dati provenienti dall’amministrazione; ma anche su questo punto la cassazione mostra molta cautela, in quanto il principio autoritativo non subisce deroghe nemmeno in relazione alla legge 212/2000 (art. 10) che tutela l’affidamento del contribuente in modo specifico. Infatti, il principio deve essere contemperato con il principio di inderogabilità delle norme tributarie e dell’indisponibilità dell’obbligazione contributiva.
Non possono dunque essere assegnati effetti vincolanti alle determinazioni dell’ente concernenti la sussistenza e la misura dell’obbligazione contributiva. Ciò vorrebbe dire che la determinazione interna, il provvedimento amministrativo, è sempre in grado di derogare alla norma primaria di legge, con il riconoscimento di un potere normativo in palese contrasto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge di cui all’art. 23 C (cfr. Cass. 36846/2022).