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Appalti, il costo della manodopera non può essere troppo inferiore alle tabelle ministeriali

Con sentenza del 16 dicembre 2024, il Tar Sicilia, sezione distaccata di Catania, ha accolto il ricorso di un’azienda volto all’annullamento di un bando di gara avente a oggetto l’affidamento di un appalto, ritenendo che il bando e il relativo disciplinare non possano prevedere un importo del costo della manodopera macroscopicamente inferiore a quello risultante dalle tabelle ministeriali di riferimento richiamate dall’articolo 41, comma 13, del Dlgs 36/2023.

La pronuncia assume rilievo in quanto interpretativa di varie disposizioni di interesse lavoristico del Codice degli appalti, affermando principi che, seppur afferenti al testo previgente al Correttivo (Dlgs 209/2024), restano attuali.

L’assunto della società ricorrente si incentra sulla illegittimità del bando di gara in quanto il costo della manodopera da impiegare nell’appalto era stato determinato dalla stazione appaltante secondo un valore notevolmente inferiore a quello delle tabelle ministeriali previste per il settore metalmeccanico (richiamato nel bando), impedendo quindi la formulazione di un’offerta congrua. La difesa della stazione appaltante assumeva, invece, che le tabelle costituirebbero solo un criterio comparativo e non un limite di soglia minima invalicabile, esistendo un range di variabilità e di oscillazione.

Nel definire la controversia, il collegio ha correttamente richiamato l’articolo 41, commi 13 e 14, del Codice, secondo cui – per i contratti di appalto relativi a lavori, servizi e forniture – il costo del lavoro è determinato in apposite tabelle del ministero del Lavoro, sulla base dei valori economici definiti dalla contrattazione collettiva nazionale tra le organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative, sicché l’importo posto a base di gara deve tener conto di tali costi, da scorporare rispetto all’importo assoggettato al ribasso, ferma restando la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso deriva da una più efficiente organizzazione aziendale.

In tale prospettiva, il Tar ha richiamato anche l’articolo 110, comma 4, secondo cui in fase di valutazione della congruità dell’offerta non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti da essa autorizzate.

Sulla base di tali premesse, il collegio ha richiamato alcuni precedenti (Tar Lombardia – Milano, sezione IV, 1546/2021 del 24 giugno; Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sezione giurisdizionale, 1058/2019 del 13 dicembre) secondo cui il bando non può prevedere ribassi che integrino un disallineamento evidente e significativo tra il valore assunto a base d’asta e i livelli retributivi orari indicati nelle tabelle ministeriali, precisando che una base d’asta che si fondi su un costo della manodopera più basso rispetto a quello che emerge dalle tabelle non è di per sé causa di illegittimità del bando; lo diventa allorquando vi deroga in termini macroscopici, quando non garantisce ragionevolmente la possibilità di presentare offerte congrue e quando viola il trattamento normativo e retributivo previsto dalla contrattazione collettiva nei confronti del lavoratore. Infatti, secondo i giudici la congruità della base d’asta è un presidio per l’interesse pubblico e l’esecuzione dei contratti pubblici non deve essere compromessa da dinamiche ribassiste a detrimento della retribuzione dei lavoratori.

Rilevando che il costo medio per ciascun addetto all’appalto fosse significativamente inferiore alle tabelle ministeriali, il Tar ha accolto il ricorso, annullando il bando e tutti gli atti ad esso relativi.