L’affidamento diretto come disciplinato dal Dlgs 36/2023 continua ad essere oggetto di approfondimenti e anche di alcuni interventi giurisprudenziali non sempre pienamente coerenti tra loro. Diversi sono i profili che sono stati sollevati recentemente in pronunce del giudice amministrativo o in altri interventi di autorità istituzionali (Anac e Mit). In termini generali, a fronte di pronunce che definiscono i caratteri tipici di questa modalità di affidamento dei contratti secondo criteri di massima libertà di forme, ve ne sono altre che non appaiono così nette e che introducono alcuni elementi di ambiguità, come tali idonei a creare qualche confusione nelle stazioni appaltanti e negli operatori.
L’orientamento prevalente è che l’affidamento diretto resta tale – e quindi è svincolato dall’osservanza di regole predefinite ai fini della scelta del contraente – anche qualora sia preceduto da un’attività procedimentalizzata, più o meno articolata, posta in essere dall’ente appaltante. Ma questo principio generale, secondo un certo orientamento, può subire deroghe – o comunque risultare attenuato nella pratica – in relazione a specifiche modalità che hanno preceduto l’affidamento diretto del contratto.
Sotto altro profilo è stata esaminata la questione delle disposizioni relative al contenuto delle offerte dettate con riferimento alle procedure ordinarie che trovano applicazione anche nel caso di affidamento diretto.
Ancora, vi è stato un pronunciamento dell’Anac relativo alla possibilità di utilizzare l’affidamento diretto per la conclusione di un accordo quadro.
Infine, si è posto il tema se a questa particolare modalità di affidamento si possa ricorrere in relazione non ai contratti di appalto bensì ai contratti di concessione, su cui è intervenuta anche una recentissima pronuncia del giudice amministrativo (di quest’ultimo tema si tratterà diffusamente in un articolo successivo).
Affidamento diretto e iter procedurale
Una recente sentenza del Tar Lombardia, Sez. IV, 11 giugno 2024, n. 1778 ha riaffermato il principio, già contenuto in precedenti pronunce del giudice amministrativo, secondo cui l’affidamento diretto mantiene i suoi caratteri tipici – consentendo quindi la massima libertà delle forme in cui può avvenire la selezione del contraente – anche qualora l’ente appaltante abbia fatto precedere l’affidamento in senso stretto da una preventiva attività procedimentalizzata, ad esempio attraverso la pubblicazione di un avviso e la definizione di specifici requisiti di partecipazione.
La vicenda affrontata dal giudice amministrativo trae origine da un affidamento diretto operato da un ente locale ai sensi dell’articolo 50, comma 1, lettera b), del Dlgs 36, avente ad oggetto il servizio di pulizia di alcuni stabili comunali. Sulla base di una specifica determinazione assunta, l’ente locale aveva invitato a presentare i loro preventivi cinque operatori del settore iscritti negli elenchi presenti in una piattaforma informatica gestita da una stazione unica appaltante regionale. Il Rup aveva quindi proceduto ad esaminare il contenuto delle offerte tecniche ed economiche rilevando che quella che all’esito di tale confronto comparativo risultava la migliore era in realtà da considerarsi non congrua. Ciò in considerazione di un rilevante scostamento che – tenuto conto che si trattava di un servizio ad alta intensità di manodopera – risultava tra il costo orario unitario offerto e quello indicato nelle pertinenti tabelle ministeriali.
L’appalto veniva quindi affidato a un altro concorrente. La relativa determina veniva impugnata dal concorrente primo classificato – e successivamente escluso per la non congruità dell’offerta – unitamente a tutti gli atti della procedura.
In particolare, il ricorrente sollevava un primo motivo di censura contestando la valutazione di non congruità dell’offerta e nello specifico la non correttezza delle modalità con cui l’esclusione era stata deliberata. Secondo il ricorrente l’ente appaltante aveva illegittimamente omesso di instaurare un contraddittorio che avrebbe consentito allo stesso di dimostrare le specifiche ragioni per le quali l’offerta non era in realtà da considerarsi incongrua. Questo motivo di ricorso è stato respinto dal Tar Lombardia. Le modalità procedurali adottate dall’ente appaltante non prevedevano infatti alcun obbligo di rispettare il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta disciplinato in termini ordinari dal Dlgs 36.
In particolare, la determina con cui l’ente appaltante aveva manifestato la volontà di procedere a un affidamento diretto aveva demandato al Rup la valutazione complessiva di carattere qualitativo economico delle offerte, senza prevedere la formazione di alcuna graduatoria. In questo senso, la valutazione delle offerte anche sotto il profilo della loro congruità era stata totalmente rimessa al giudizio del Rup, senza che fosse presente alcuna specifica previsione in merito all’eventuale anomalia delle offerte e al procedimento per la loro verifica. Di conseguenza l’ente appaltante non ha violato alcuna norma né alcun vincolo che si era impegnato a rispettare, non essendo quindi tenuto ad attivare alcun procedimento di verifica in contraddittorio della congruità dell’offerta.
In termini più generali il giudice amministrativo ha sottolineato che nell’affidamento diretto la scelta del contraente è rimessa a una valutazione ampiamente discrezionale dell’ente appaltante, che può essere sindacata in sede giurisdizionale solo sotto i limitati profili della palese illogicità, irragionevolezza, irrazionalità o travisamento dei fatti.
Con il secondo motivo di censura il ricorrente sosteneva che, al di là della qualifica formale di affidamento diretto, l’ente appaltante avrebbe in realtà posto in essere una procedura negoziata. Deporrebbero in questo senso i caratteri della procedura svolta ai fini dell’affidamento: la trasmissione di una lettera di invito a cinque operatori, la richiesta del possesso di requisiti speciali, la richiesta di formulare una vera e propria offerta con una parte tecnica ed economica e non un semplice preventivo, l’indicazione di criteri di valutazione delle offerte. Di conseguenza, l’ente appaltante avrebbe dovuto rispettare le regole stabilite per la procedura negoziata.
Anche questo secondo motivo di ricorso – che in realtà rappresenta un’articolazione del primo – è stato respinto dal Tar Lombardia.
Ricorda in particolare il giudice amministrativo che il processo di selezione adottato dall’ente appaltante non può essere in alcun modo assimilato a una procedura negoziata. Il nucleo di tale processo è stato infatti il confronto tra preventivi, senza che fosse prevista la nomina di una commissione giudicatrice per la valutazione delle offerte né la formazione di una vera e propria graduatoria. La scelta della migliore offerta è stata infatti totalmente demandata al Rup, che vi ha provveduto in autonomia e libero da ogni formalità e prescrizione cogente.
È quindi evidente la volontà dell’ente appaltante di ricorrere a un affidamento diretto. Volontà che non viene in alcun modo alterata dal fatto che l’affidamento in sé sia stato preceduto da un’attività procedimentalizzata, poichè questa circostanza non trasforma l’affidamento diretto in una procedura di gara in senso proprio.
Affidamento diretto, procedura negoziata, principio di rotazione
Le conclusioni nette e condivisibili del Tar Lombardia non trovano piena condivisione in un’altra pronuncia del Tar Calabria, Sez. I, 29 dicembre 2024, n. 848. La vicenda presa in esame dal giudice amministrativo riguardava l’affidamento di un servizio di assistenza tecnica ed informatica. L’ente appaltante in un primo momento aveva proceduto, ai fini del successivo affidamento diretto, con la richiesta di una pluralità di preventivi a una serie di operatori tra cui vi era anche il gestore uscente del servizio.
Successivamente lo stesso ente appaltante pubblicava un avviso di indagine di mercato finalizzato a raccogliere manifestazioni di interesse, con una successiva fase di confronto competitivo tra preventivi presentati da chi, avendo manifestato interesse, fosse stato invitato. Il gestore uscente, nonostante avesse presentato la manifestazione di interesse, non veniva tuttavia invitato alla fase successiva. A giustificazione di tale esclusione, l’ente appaltante comunicava che il mancato invito conseguiva all’applicazione nei confronti del gestore uscente del principio di rotazione.
Intervenuto l’affidamento del contratto, il gestore uscente impugnava gli atti di gara. Nello specifico il ricorrente contestava il mancato invito dell’ente appaltante, sostenendo che secondo la giurisprudenza consolidata il principio di rotazione non troverebbe applicazione qualora il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali non vi sia alcuna limitazione al numero dei potenziali partecipanti. Secondo il ricorrente questa ipotesi ricorrerebbe nel caso di specie, in cui l’articolazione della procedura svolta dall’ente appaltante avrebbe come effetto l’allontanamento dai canoni tipici dell’affidamento diretto, trattandosi di una selezione aperta al mercato.
Questa prospettazione è stata accolta dal giudice amministrativo. Quest’ultimo ha quindi ritenuto – contrariamente a quanto affermato nella precedente sentenza del Tar Lombardia – che lo svolgimento di un’attività procedimentalizzata possa alterare i caratteri tipici dell’affidamento diretto, che si trasformerebbe in realtà in un una sorta di procedura negoziata.
Affidamento diretto e costi della manodopera
Anche se l’affidamento diretto si caratterizza per una significativa libertà di forme, alcune previsioni relative alle modalità di presentazione delle offerte restano ferme. In particolare il Tar Calabria, Sez. I, 1 giugno 2024, n. 958 ha affermato che anche in caso di affidamento diretto vale la regola stabilita dall’articolo 108, comma 9 del Dlgs 36 sull’obbligo dell’indicazione separata in sede di offerta dei costi della manodopera, a pena di esclusione.
Ciò si ricava chiaramente anche dal confronto tra la richiamata previsione e quanto precedentemente stabilito sul punto dall’articolo 95, comma 10 del Dlgs 50. Quest’ultima disposizione infatti escludeva esplicitamente da quest’obbligo – oltre alle ipotesi di fornitura senza posa in opera e dei servizi intellettuali – anche gli affidamenti diretti. Nel Dlgs 36 sono state ribadite le prime due ipotesi di esclusione ma non è stata riprodotta quella relativa agli affidamenti diretti, chiara indicazione della volontà del legislatore di non voler estendere a quest’ultima ipotesi l’esenzione dall’obbligo di indicazione separata dei costi della manodopera.
L’affidamento diretto e l’Accordo quadro
Con Comunicato del Presidente dell’Anac del 5 giugno 2024 è stata affermata la legittimità del ricorso all’affidamento diretto per la conclusione di un accordo quadro.
Ciò sull’assunto – corretto – che nessuna disposizione del Dlgs 36 vieta questa modalità di affidamento, nel ricorso di tutte le condizioni richieste dalla relativa disciplina, prima tra tutte il limite di importo che è pari a 150.000 euro per i lavori e 140.000 euro per servizi e forniture, limite che deve essere riferito all’importo complessivo dell’accordo quadro (comprensivo cioè di tutti i singoli contratti attuativi).
Lo stesso Comunicato precisa – ove mai ve ne fosse bisogno – che essendo l’accordo quadro unitario e derivando i singoli contratti attuativi dall’unico accordo iniziale, per gli stessi non vale il principio di rotazione, che opera invece ai fini dell’affidamento dell’accordo quadro in sé considerato.