Il dipendente che si assenta dal lavoro a causa di malattia è tenuto non solo a verificare la corretta indicazione del proprio indirizzo di reperibilità sul certificato medico ma anche a comunicare ogni sua variazione in maniera tempestiva: lo scopo, come è evidente, è quello di consentire la regolare effettuazione delle visite mediche di controllo da parte dei medici incaricati dall’Inps. A tale scopo, l’Istituto ha predisposto un apposito servizio on line per la comunicazione (sempre preventiva) della variazione della reperibilità rispetto all’indirizzo rilevabile dal certificato medico.
Ma chi è il destinatario di tale comunicazione: solo l’Inps, solo il datore di lavoro, oppure entrambi tali soggetti?
E soprattutto: cosa accade se viene omessa tale comunicazione?
La risposta ci viene fornita da una recente ordinanza della Suprema Corte, che ha fatto chiarezza anche in merito alle conseguenze di un parziale inadempimento rispetto a tale obbligo.
Ed ecco il caso di specie: un lavoratore si assenta per malattia, comunicando anche una variazione dell’indirizzo di reperibilità all’Inps; per quanto concerne l’Istituto, la situazione era corretta, il datore (invece) aveva invece contestato l’assenza ingiustificata, comminando un licenziamento. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Roma (quest’ultima dopo la cassazione della relativa sentenza) ritenevano il recesso illegittimo, con conseguente condanna della società a reintegrare nel proprio posto il lavoratore nonché a risarcirgli il danno.
Nel decidere in tal senso, a seguito dei principi precedentemente affermati dalla Cassazione, la Corte d’Appello della Capitale aveva accertato che l’art. 225 del CCNL applicato (rubricato “Provvedimenti disciplinari”) prevedeva una sanzione conservativa (la multa) nel caso in cui il lavoratore “non dia immediata notizia all’azienda di ogni mutamento della propria dimora, sia durante il servizio che durante i congedi”. In buona sostanza, poiché (nella fattispecie) non era configurabile l’assenza ingiustificata del lavoratore, si era dato corso all’applicazione dell’art. 18, co. 4, della legge 20 maggio 1970, n. 300.
A questo punto, la società datrice ricorre nuovamente per cassazione ma l’esito del giudizio non è affatto mutato. Peraltro, dalla motivazione dell’ordinanza in commento, si evince quanto segue:
a) il lavoratore si era reso inadempiente all’obbligo di comunicare (anche) al datore la variazione dell’indirizzo di reperibilità durante l’assenza per malattia, fatto disciplinarmente rilevante che gli era stato debitamente contestato;
b) la sua assenza non era ingiustificata, in quanto l’Inps era a conoscenza del nuovo indirizzo;
c) essendo stata accertata un’infrazione disciplinare, è esclusa la “insussistenza del fatto”, sia sul piano materiale che giuridico;
d) la Corte del rinvio ha operato correttamente, applicando il principio di diritto dettatole dalla Cassazione, inquadrando la condotta della mancata comunicazione dell’indirizzo al datore nella fattispecie prevista dal CCNL e punita con la multa, escludendo che vi fosse un’assenza ingiustificata nel caso in cui, come nella specie, l’esito infruttuoso della visita di controllo doveva essere addebitato all’Inps che non aveva tenuto conto dell’indirizzo comunicatogli dal lavoratore.
Il che ha condotto al definitivo rigetto del ricorso e alla condanna della società al pagamento delle spese del giudizio.