Due recenti decisioni, una della Cassazione e una della Corte d’Appello di Milano, fissano alcuni importanti principi in relazione al contratto di apprendistato, e meritano perciò una menzione.
Piano formativo – La prima sentenza (Cass. 13 marzo 2024, n. 6704) riguarda l’applicazione dell’art. 2, co. 1, lettera a), del D.Lgs. 14 settembre 2011, n. 167 (TU apprendistato, oggi disciplinato dagli artt. da 41 a 47 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81). Ebbene, la norma previgente disponeva che la disciplina del contratto di apprendistato era rimessa ad appositi accordi interconfederali o ai CCNL stipulati da associazioni dei datori e prestatori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nel rispetto (tra gli altri) del seguente principio: forma scritta del contratto e del patto di prova. Il contratto di apprendistato contiene, in forma sintetica, il piano formativo individuale definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali …
L’art. 42, co. 1, del vigente D.Lgs. n. 81/2015, dispone, invece, che il contratto di apprendistato è stipulato in forma scritta ai fini della prova. Esso contiene, in forma sintetica, il PFI definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali di cui all’art. 2, co. 1, lettera h), D.Lgs. n. 276/2003. Nell’apprendistato di primo e terzo livello, il PFI è predisposto dall’istituzione formativa con il coinvolgimento dell’impresa. Ai sensi dell’art. 47, co. 2, se viola tale disposizione, il datore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 600 euro (da 300 a 1500 euro in caso di recidiva).
Ebbene, in relazione alla disposizione previgente, la Suprema Corte ha affermato che il requisito della forma scritta, previsto ratione temporis dall’art. 2, co, 1, lett. a), del D.Lgs. n. 167/2011, va inteso in senso funzionale, in quanto prescritto a pena di nullità “a protezione” di una delle parti contrattuali, sicché esso è rispettato solo se è redatto per iscritto anche il piano formativo individuale (Cass. n. 6704/2024). Tale posizione, peraltro, era già stata espressa dalla stessa Cassazione, la quale aveva precisato che il contratto di apprendistato, per la cui stipula è richiesta la forma scritta ad substantiam, deve necessariamente contenere il PFI nel corpo dell’atto, senza possibilità di rinvio a un documento esterno, in quanto l’elemento professionalizzante qualifica la causa, con la conseguenza che la volontà negoziale del lavoratore deve formarsi sulla base della piena consapevolezza del percorso proposto e della sua idoneità per l’acquisizione della qualifica (Cass. n. 10826/2023).
Pregresse esperienze lavorative – La seconda decisione riguarda il caso di un dipendente prima assunto con contratto a tempo determinato (dal 21 gennaio 2019 al 19 gennaio 2020) presso un supermercato con mansioni di Ausiliario alla vendita e inquadramento nel V livello del CCNL GDMO, e poi assunto, dal 20 gennaio 2020, da parte dello stesso datore, con contratto di apprendistato, venendo adibito senza soluzione di continuità allo stesso punto vendita e con identiche mansioni, risultando tuttavia inquadrato al VI livello del medesimo CCNL, e con obiettivo formativo di inquadramento finale nel IV livello. Al termine del periodo formativo, la Società aveva infine ritenuto di recedere ad nutum dal rapporto.
Il Tribunale meneghino, con sentenza depositata il 29 novembre 2022, in accoglimento della domanda del lavoratore, dichiarava nullo il contratto di apprendistato per difetto di causa; accertava il diritto a essere inquadrato al IV livello sin dal 19 gennaio 2020, con correlate differenze retributive; dichiarava illegittimo il recesso aziendale e, in applicazione dell’art. 3 co. 1, del D.Lgs. n. 23/2015, liquidava un’indennità risarcitoria pari a 8 mensilità dell’ultima retribuzione utile al calcolo del TFR.
La società ricorre quindi in appello affermando l’erroneità della decisione del tribunale, per aver omesso di considerare che il pregresso rapporto a termine (svolto con inquadramento del dipendente al V livello) doveva reputarsi irrilevante, e non aveva valutato l’attività formativa svolta.
La Corte d’Appello di Milano, tuttavia, ha respinto l’appello, evidenziando quanto segue:
a) è del tutto condivisibile la dichiarazione di nullità del contratto di apprendistato per difetto di causa: anche durante il successivo contratto di apprendistato (intervenuto senza soluzione di continuità rispetto alla fine del contratto a termine), il lavoratore aveva continuato a svolgere le stesse mansioni, presso lo stesso punto vendita: accoglienza della clientela, sistemazione del prodotto nel banco del reparto pesce, controllo e gestione del banco del pesce, varie operazioni di vendita vera e propria (inclusa la preparazione delle confezioni contenenti il prodotto scelto dal cliente, pesatura, predisposizione dello scontrino eccetera), sistemazione dei prodotti invenduti nei contenitori e quindi nelle apposite celle frigo, e così via;
b) nessuna di tali allegazioni è stata contestata dall’azienda, che non ha chiarito in che termini l’attività svolta dal lavoratore durante l’apprendistato – nel medesimo punto vendita, senza soluzione di continuità, e dunque in un contesto aziendale immutato dal punto di vista della complessità dell’organizzazione e dell’attività – si sarebbe differenziata da quella già affidata al dipendente durante l’anno precedente;
c) se è astrattamente possibile che tra le medesime parti, a determinate condizioni, un rapporto di lavoro subordinato ordinario possa essere seguito da un contratto di apprendistato, è pur vero che le mansioni affidate all’apprendista devono essere diverse da quelle che egli già svolgeva in autonomia quale dipendente, o che quantomeno deve essere mutato il contesto e l’organizzazione aziendale nel quale le mansioni sono svolte;
d) nel caso di specie, ciò non è stato adeguatamente allegato, per cui la decisione del primo giudice di reputare invalido il contratto di apprendistato, per difetto di causa, va condivisa.
Nel rigettare il ricorso della società, la Corte di merito ha anche evidenziato la “debolezza” del piano formativo (peraltro nemmeno richiamato nel contratto) nonché fondati dubbi sul fatto che fosse stato adeguatamente ed effettivamente eseguito. In pratica, quindi, anche a prescindere dal difetto di causa (pur esistente), la dichiarazione di invalidità del rapporto di apprendistato è parsa corretta anche alla luce del difetto di prova dell’effettivo svolgimento di una puntuale, condivisa ed effettiva attività formativa.
Conclusioni – Al netto di quanto affermato dalle due decisioni sopra citate, in materia di PFI e attività formativa, va ricordato che l’art. 47, co. 1, del D.Lgs. n. 81/2015 dispone che:
a) in caso di inadempimento nell’erogazione della formazione a carico del datore, di cui egli sia esclusivamente responsabile e che sia tale da impedire la realizzazione delle finalità di cui agli artt. 43, 44 e 45, il datore deve versare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100%, con esclusione di qualsiasi sanzione per omessa contribuzione;
b) nel caso in cui rilevi un inadempimento nell’erogazione della formazione prevista nel PFI, il personale ispettivo adotta un provvedimento di disposizione, ex art. 14 del D.Lgs. n. 124/2004, assegnando un congruo termine al datore di lavoro per adempiere.
Al riguardo, per completezza, si veda quanto precisato dal Ministero del Lavoro nella circolare n. 5/2013.