Con sentenza n. 10267 del 16 aprile 2024, la Corte di Cassazione ha affermato che al dipendente che sia stato collocato in integrazione salariale in modo non giustificato, spettano sia il risarcimento per le retribuzioni perse che il ristoro derivante dal danno alla professionalità da quantificare, in via equitativa, come una percentuale netta da calcolare in relazione allo stipendio mensile.
Secondo i giudici della Suprema Corte, la sospensione illegittima di un lavoratore viola l’art. 2103 c.c. e lede il diritto al lavoro, nonché l’immagine e la professionalità, concretandosi in un danno di natura contrattuale: il danno alla professionalità è diverso dalla mancata retribuzione e concerne l’immagine e la dignità lavorativa del dipendente, per la cui quantificazione può farsi riferimento ad alcuni elementi come la qualità e la quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata e la conseguente dequalificazione.