Questa volta è andata bene: non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 3, del Dlgs 23/2015 nella parte in cui consente l’attrazione nell’ambito applicativo del regime delle tutele crescenti anche di coloro che, pur assunti prima del 7 marzo 2015, si siano trovati a operare in realtà lavorative che abbiano poi superato i limiti dimensionali di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori in conseguenza di assunzioni successive a tale data. Lo ha dichiarato la Corte costituzionale con la sentenza 44/2024 pubblicata ieri che, insieme alle sentenze 7 e 22 di quest’anno, va ad aggiungersi ai plurimi interventi della Consulta sul Jobs Act.
In particolare, il Tribunale di Lecce (ordinanza 71 del 20 aprile 2023) aveva preso le mosse dall’impugnazione di un licenziamento intimato a un lavoratore assunto prima del 7 marzo 2015 che aveva invocato l’applicazione delle tutele previste dall’articolo 18. La società, dal canto suo, aveva ritenuto invece applicabile l’articolo 1, comma 3, del Dlgs 23/2015, eccependo che «sebbene al momento del licenziamento sussistessero i requisiti dell’articolo 18 […], la soglia numerica fosse stata superata dopo l’entrata in vigore del citato dlgs. n. 23 del 2015».
La Corte di merito, investita della questione, aveva dubitato della legittimità costituzionale di tale norma per eccesso di delega, con riferimento ai criteri di cui all’articolo 1, comma 7, lettera c), della legge 183/2014, che «demandando al Governo la previsione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, ne limita l’applicazione alle “nuove assunzioni”».
Di qui la sospensione del giudizio e l’ordinanza di rimessione alla Consulta, la quale – valorizzando lo «scopo complessivo» perseguito dal legislatore del 2014 di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro – ha invece concluso nel senso che il legislatore delegato, «nell’esercizio del suo potere di completamento del quadro della disciplina», ben «poteva regolare anche la posizione dei dipendenti di piccole aziende, per i quali non c’era un regime di tutela reintegratoria ex articolo 18 da conservare». Più precisamente – prosegue la Corte costituzionale – la prospettiva, per i datori di lavoro che superino la soglia dei 15 dipendenti nell’unità produttiva, di poter applicare a tutti i dipendenti a prescindere dalla data di assunzione la disciplina del Dlgs 23/2015 rappresenta «uno stimolo (o il venir meno di un freno) a crescere nella dimensione aziendale».
In ogni caso, tenuto conto del «bilanciamento voluto dal legislatore delegante», il Giudice delle leggi non rileva alcuna «regressione in peius» nelle tutele previste dal Dlgs 23/2015 per quei dipendenti già in servizio alla data del 7 marzo 2015, ai quali, prima del superamento del limite dimensionale, si applicava la meno favorevole disciplina della legge 604/1966.
Degna di nota è la considerazione finale per cui «la disciplina del decreto legislativo, proprio perché applicabile a tutti i nuovi assunti, che sono in numero crescente, tende ad essere quella ordinaria», mentre la disciplina di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, riservata ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, «vede restringersi notevolmente nel tempo la sua area di applicabilità sì da costituire un regime ad esaurimento»: come dire, il Jobs Act è il futuro.