Di seguito, un interessante Approfondimento di Eufranio Massi, Esperto di Diritto del Lavoro, sul tema “Contratti a termine e durata nella pubblica amministrazione“:
Con riferimento alle nuove regole sui contratti a tempo determinato occorre porre particolare attenzione ad una disposizione introdotta dalla legge di conversione del decreto lavoro che riguarda la Pubblica Amministrazione ed altri Enti anche privati. Il D.L. n. 48/2023, modificando il D.Lgs. n. 81/2015, ha previsto la non applicabilità delle regole per i datori di lavoro privati alla PA e ad una serie di mansioni notevolmente ampia e non specifica (attività di insegnamento, di ricerca nei vari aspetti, di trasferimento delle conoscenze, di supporto alla innovazione, di assistenza tecnica, di direzione e controllo). Conseguentemente potrebbero sorgere dei dubbi nell’individuazione della corretta disciplina applicabile per alcune categorie di lavoratori. In attesa di chiarimento amministrativo come occorre comportarsi?
Nei commenti che si sono succeduti dopo l’entrata in vigore del decreto Lavoro (D.L. n. 48/2023, convertito il L. n. 85/2023) che, attraverso l’art. 24 ha introdotto novità in materia di contratti a tempo determinato con l’eliminazione delle condizioni previste nel vecchio testo dell’art. 19 del D.L.vo n. 81/2015, è stata data poca importanza ad una disposizione che è stata introdotta nel “corpus” del predetto articolo e che riguarda la durata dei rapporti a termine nella Pubblica Amministrazione (ma non solo).
Pubblica amministrazione
Con il comma 5-bis si stabilisce che “le disposizioni di cui al comma 1 (che sono quelle che riguardano tutti i datori di lavoro privati in materia di durata del contratto a termine) non si applicano ai contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione, nonché ai contratti di lavoro stipulati dalle Università private, incluse le filiazioni di Università straniere, da Istituti pubblici di ricerca, società pubbliche che promuovono la ricerca e l’innovazione ovvero Enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica, di trasferimento di know-how, di supporto all’innovazione, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa, ai quali continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del D.L. 12 luglio, n. 87 convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2018, n. 96”.
La norma, introdotta in sede di conversione, si pone in linea di continuità con l’art. 1, comma 3, del D.L. n. 87 il quale aveva già affermato che nel settore “pubblico allargato” (le parole sono, sostanzialmente, le stesse adoperate oggi dal Legislatore) continua ad applicarsi la normativa previgente, ossia la durata massima dei contratti a tempo determinato per i soggetti datoriali citati dalla disposizione continua ad essere di 36 mesi senza l’apposizione di alcuna condizione, così come prevedeva il vecchio art. 19 del D.L.vo n. 81/2015, “figlio” del c.d. “Jobs Act”.
Il nuovo comma 5-bis presenta, tuttavia, una frase che meriterebbe un chiarimento amministrativo, finora non pervenuto, da parte del Ministero del Lavoro o da quello della Funzione Pubblica. Mi riferisco al fatto che, attraverso la congiunzione disgiuntiva “ovvero” vengono individuate alcune specifiche mansioni, focalizzando l’attenzione sui lavoratori interessati ove si parla di attività di insegnamento, di ricerca nei vari aspetti, di trasferimento delle conoscenze, di supporto alla innovazione, di assistenza tecnica, di direzione e controllo.
Da quanto appena detto si trae la conseguenza che, essendo la dizione delle mansioni richiamate notevolmente ampia e non specifica, la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato per 36 mesi da parte di soggetti (ce ne sono anche privati) indicati nel comma 5-bis sia particolarmente estesa, sì da ricomprendere qualsiasi attività svolta. Ciò potrebbe portare, ad esempio, presso una Università privata, anche straniera, o presso un istituto di ricerca privato, non solo alla stipula di contratti per l’insegnamento fino a 36 mesi, ma anche a contratti, di pari durata, con personale amministrativo o con specifiche mansioni tecniche.
Somministrazione di lavoro
C’è, poi, un’altra questione particolarmente importante che merita di essere chiarita, atteso che il Legislatore non lo ha fatto: le norme di deroga sui contratti a tempo determinato valgono anche per la somministrazione?
Ovviamente, occorrerà attendere, quantomeno, un intervento chiarificatore dei Ministri competenti: a mio avviso, stante la particolare assimilazione tra contratto a tempo determinato e contratto di somministrazione a termine, richiamata, in via generale, dal comma 2 dell’art. 19 per quel che riguarda, in sommatoria, la durata massima dei contratti a termine, la disposizione si applica anche alla somministrazione.
Tale convinzione è avvalorata dal fatto che il comma 2 dell’art. 36 del D.L.vo n. 165/2001 che riguarda l’utilizzazione di contratti di lavoro flessibile nella Pubblica Amministrazione afferma che “Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le Amministrazioni Pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti”.
Ebbene la somministrazione è, oggi, sostanzialmente, regolamentata dagli articoli del D.L.vo n. 81/2015, compresi tra il 30 ed il 39.