In tema di infortuni sul lavoro, il c.d. rischio elettivo, che comporta la responsabilità esclusiva del lavoratore, sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento dannoso e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere.
NOTA
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La Corte di Appello di Napoli, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato la responsabilità della società datrice di lavoro riguardo all’infortunio sul lavoro occorso ad un operaio, condannando la stessa al risarcimento del danno non patrimoniale. In particolare, la Corte territoriale, per quanto qui rileva, ha ritenuto che l’azienda non avesse dimostrato di aver adottato tutte le misure idonee a tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore e che il lavoratore non avesse consapevolezza che la condotta tenuta costituisseun’operazione anomala e pericolosa.
Circa la liquidazione del danno, corrispondente ad una invalidità permanente del 48%, la Corte ha fatto riferimento «alle Tabelle in uso presso il Tribunale di Milano aggiornate al 2018» e ha quantificato il danno «avuto riguardo alla giovane età del soggetto (23 anni) al momento dell’infortunio».
Avverso tale decisione proponevano ricorso in Cassazione la società datrice di lavoro e il lavoratore.
A fronte dei motivi di ricorso del datore di lavoro, la Corte di cassazione ha ritenuto che la decisione impugnata fosse conforme alla giurisprudenza in materia di rischio elettivo e di concorso del fatto colposo del lavoratore.
Infatti, «la responsabilità esclusiva del lavoratore per c.d. “rischio elettivo” sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere».
In aggiunta, ha proseguito la Corte, il datore di lavoro è responsabile anche dei danni ascrivibili a negligenza o imprudenza dei dipendenti o alla violazione, da parte degli stessi, di norme antinfortunistiche o di direttive, stante il dovere di proteggerne l’incolumità anche in tali evenienze prevedibili.
Con riferimento, poi, ai motivi di ricorso del lavoratore infortunato, la Suprema Corte ha osservato che:
-in tema di riconoscimento del danno da mora in relazione ad obbligazioni di valore, «l’ulteriore riconoscimento di interessi dal fatto illecito può avvenire solo laddove la liquidazione “non avvenga direttamente con valori monetari riferibili all’epoca della liquidazione”, così come invece accaduto nella specie». In ogni caso, il lavoratore avrebbe dovuto provare anche in base a criteri presuntivi, che la somma rivalutata fosse inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo;
-in tema di quantificazione del danno, (i) la Corte territoriale ha fatto correttamente riferimento alle tabelle milanesi del 2018, che incorporano anche il danno morale e (ii) per quanto riguarda la mancata ulteriore personalizzazione del danno (ovvero il riconoscimento di una maggiorazione rispetto a quello forfettizzato in base ai criteri tabellari), la stessa spetta solo in caso di condizioni particolari sofferte dalla vittima, in conseguenza delle sue pregresse condizioni o del tipo di attività da essa svolte;
-la Corte d’appello di Napoli ha liquidato le spese legali da corrispondere al lavoratore in misura inferire rispetto ai minimi previsti dal D.M. 55/2014.
Pertanto, alla luce di tutto quanto sopra, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso della società datrice di lavoro e accolto il motivo di ricorso del lavoratore relativo alle spese legali, definendole per tutti e tre i gradi di giudizio.