Quando il 13 agosto dello scorso anno entrò in vigore il D.L.vo n. 104/2022, attuativo della Direttiva Comunitaria n. 2019/1152, molti operatori furono presi dal panico per la complessità degli adempimenti correlati alla costituzione del rapporto di lavoro ed alla sua gestione: panico che, nella sostanza, non fu affatto attenuato dalle indicazioni amministrative pervenute il successivo 20 agosto dal Ministero del Lavorocon la circolare n. 19 che, su alcune questioni basilari, assumeva un atteggiamento molto più rigido rispetto a quello adottato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota del 10 agosto.
La rigidità della interpretazione normativa adottata dal Dicastero consisteva nel fatto che, una serie di adempimenti corposi, rinvenibili peraltro nella contrattazione collettiva, dovevano essere riportati in documenti da consegnare al lavoratore all’atto della instaurazione del rapporto, o anche in momenti successivi ma, comunque, sempre precisati dalla norma che, sul punto, era accompagnata, in caso di inosservanza, da sanzioni di natura amministrativa.
Ora, con l’art. 26 del D.L. n. 48/2023, il cui testo è all’esame del Parlamento per la conversione in legge, il Governo interviene dal 5 maggio u.s., data di entrata in vigore del provvedimento, dettando norme di semplificazione in materia di informazione e di obblighi di pubblicazione in merito al rapporto di lavoro.
L’operazione è avvenuta inserendo modifiche all’interno dell’art. 1 del D.L.vo n. 152/1997 entro il quale erano state poste le modifiche introdotte dal D.L.vo n. 104/2022.
E’ stato introdotto, dopo il comma 5, un nuovo comma il 5-bis, il quale afferma che una serie di informazioni possono essere comunicate al lavoratore ed il relativo onere si intende assolto con l’indicazione del riferimento normativo o del contratto collettivo, anche aziendale, che ne disciplina le materie. Con il successivo comma 6-bis viene specificato che, ai fini della semplificazione (ma pure con un occhio alla uniformità delle comunicazioni), il datore di lavoro è tenuto a consegnare o a mettere a disposizione dei propri dipendenti, anche con la pubblicazione sul proprio sito web, i contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali, nonchè eventuali regolamenti aziendali, applicabili al rapporto di lavoro.
Qui si pone, soprattutto per i piccoli datori di lavoro che non hanno sito web e che non procedono alla consegna manuale del CCNL, di indicare ove trovare il testo di riferimento. Si potrebbe, far riferimento il sito del Ministero del Lavoro obbligato (art. 6, comma 1, del D.L.vo n. 152/1997) a rendere disponibili per tutti, in modo chiaro e gratuito, le disposizioni normative ed i contratti collettivi.
Ma quali sono le comunicazioni alle quali si può far riferimento consegnando il CCNL o richiamando anche patti collettivi di secondo livello o regolamenti unilaterali del datore di lavoro?
La prima riguarda la durata del periodo di prova, laddove previsto (il D.L.vo n. 104, all’art. 7, ha introdotto alcune novità che riguardano la proporzionalità della durata nei contratti a termine, il tetto massimo della stessa, fissato in 6 mesi, e la non ripetibilità della prova in caso di rinnovo di contratto a tempo determinato). Per completezza di informazione ricordo che per il contratto a termine ci dovrebbe essere, a breve, una novità in quanto inserita nel disegno di legge all’esame del Parlamento che, in mancanza di previsione della contrattazione collettiva, dovrebbe prevedere (il condizionale è d’obbligo) un giorno effettivo di prova per ogni 15 giorni di contratto;
La seconda riguarda il diritto a ricevere la formazione erogata dal datore, se prevista;
La terza comunicazione fa riferimento alla durata delle ferie e degli altri congedi retribuiti ai quali ha diritto il dipendente o, se ciò non può essere indicato nell’informazione, le modalità di determinazione e fruizione degli stessi. La descrizione dei congedi appare alquanto ampia, atteso che vi sono quelli previsti dalla legge (e qui si può far riferimento alle indicazioni normative) e quelli individuati dalla contrattazione collettiva. La circolare del Ministero del Lavoro n. 19 pone l’attenzione sul fatto che occorre focalizzare l’attenzione sulla locuzione “nonché degli altri congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore”, secondo il quale occorre indicare esclusivamente i congedi monetizzati mentre non sussiste alcun obbligo per gli altri: il tutto in base al principio di ragionevolezza. Di qui la identificazione dei congedi di maternità e paternità, del congedo parentale e di quello straordinario ex D.L.vo n. 151/2001, del congedo per i portatori di handicap previsto dall’art. 7 del D.L.vo 18 luglio 2011 n. 119 e del congedo per le donne vittime di violenza ex art. 24 del D.L.vo 15 giugno 2015 n. 80;
La quarta comunicazione concerne la procedura, la forma ed i termini del periodo di preavviso. Qui, il richiamo al CCNL appare significativo come anche quello relativo alle dimissioni ove, talora, la contrattazione collettiva disciplina alcuni aspetti particolari come il periodo del mese entro il quale vanno presentate. Laddove nulla è dello dalla pattuizione collettiva è, opportuno, come nel caso delle dimissioni telematiche citare, quale mero richiamo, la procedura prevista dall’art. 26 del D.L.vo n. 151/2001, e per le dimissioni dovute a maternità, paternità e matrimonio le specifiche disposizioni legali.
Anche per l’importo iniziale della retribuzione o comunque il compenso con i relativi elementi costitutivi dettagliati è sufficiente il riferimento al contratto collettivo. Vanno indicati i periodi di pagamento e le modalità. Ricordo che tutti i pagamenti debbono essere tracciabili (art. 1, comma 910 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e che la traccia deve essere conservata (è un obbligo) dal datore di lavoro, come precisa la nota n. 473/2021 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro;
Per la programmazione dell’orario normale di lavoro e le condizioni per lo straordinario, gli eventuali cambi di turno, qualora sia prevista una organizzazione dell’orario prevedibile, è sufficiente il richiamo al contratto collettivo. Se la programmazione oraria è in gran parte non prevedibile, grava sul datore di lavoro l’onere di informare il lavoratore (qualora ciò non sia disciplinato dalla contrattazione collettiva o dal regolamento aziendale) circa la variabilità della programmazione, di indicare il minimo delle ore garantite, di specificare l’ammontare della retribuzione per le prestazioni lavorative eccedenti le ore garantite, di individuare le ore ed i giorni in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le prestazioni, di prevedere sia il periodo minimo di preavviso a cui il lavoratore ha diritto prima dell’inizio della prestazione che il limite temporale entro cui può disdire l’incarico.
L’ultima novità inserita nell’art. 26 riguarda la comunicazione al lavoratore degli Enti e gli Istituti destinatari dei contributi previdenziali ed assicurativi (nella stragrande maggioranza si tratta dell’INPS e dell’INAIL) e qualunque altra forma di protezione in materia di sicurezza sociale, come, ad esempio, un fondo di previdenza complementare.
L’altra grande novità semplificatoria (che, però, suscita qualche perplessità) riguarda i sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati. L’art. 26 interviene sull’art. 1-bis del D.L.vo n. 152/1997, come riformato dal D.L.vo n. 104/2022, sostituendo il comma 1 che, ora, recita:
“Il datore di lavoro o il committente pubblico e privato è tenuto a informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio integralmente automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini dell’assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti e mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle prestazioni contrattuali dei lavoratori. Resta fermo quanto disposto dall’art. 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300”. La norma prosegue modificando anche il comma 8 con l’affermazione che “gli obblighi informativi di cui al presente articolo non si applicano ai sistemi protetti da segreto industriale e commerciale”.
La modifica introdotta appare dirompente in quanto i pesanti obblighi di comunicazione (e le relative sanzioni in caso di inadempimento) si applicano soltanto allorquando i sistemi decisionali e di monitoraggio (da cui dipendono una serie di valutazioni della vita lavorativa dei dipendenti, dipendono integralmente da sistemi automatizzati, senza l’intervento umano. Ovviamente, tutto ruota sul significato da fornire all’avverbio “integralmente”.
A questo punto, però, c’è una considerazione rispetto alla quale il Parlamento, in sede di conversione, non potrà non tenerne conto e che riguarda il Regolamento UE n. 2016/679 il quale contiene norme direttamente applicabili.
Rimanendo al caso di specie, come si concilia la norma sopra citata con gli articoli del Regolamento 13, comma 1, lettera f), concernente le informazioni da fornire anche in relazione alla esistenza di un processo decisionale automatizzato (quindi anche parziale e non integrale) e 15, comma 1, lettera h), riguardante il diritto di accesso dell’interessato ad ottenere informazioni “sulla esistenza di un processo decisionale automatizzato, compresa la profilazione ex art. 22, paragrafi da 1 a 4 e, almeno in tali casi, informazioni significative sulla logica utilizzata, nonché l’importanza e le conseguenze previste di tale trattamento per l’interessato”? Tra l’altro, il Regolamento UE n. 2016/679 prevede sanzioni abbastanza pesanti.