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Le assunzioni delle donne svantaggiate tra sgravi e difficoltà operative

Di seguito un interessante Approfondimento di Eufranio Massi,  Esperto di Diritto del Lavoro, sul tema “Assunzione donne svantaggiate“.
 

Mentre gli operatori sono in attesa che Bruxelles autorizzi lo sgravio contributivo per le assunzioni di donne che saranno effettuate dai datori di lavoro nel corso del 2023 (art. 1, comma 298 della legge n. 197/2022), ci si interroga sui requisiti oggettivi e soggettivi che la norma richiede al fine di poter fruire di uno sgravio contributivo fino ad 8.000 euro all’anno (comprensivo dei premi e contributi assicurativi INAIL, a differenza di altre agevolazioni) sulla quota a loro carico.

Le assunzioni possono essere a tempo determinato fino ad un massimo di 12 mesi, oltre che, ovviamente, a tempo indeterminato (anche a tempo parziale). In quest’ultimo caso il beneficio è “godibile” per 18 mesi che si possono raggiungere anche in sommatoria, in caso di trasformazione del precedente contratto a termine.

La norma non si riferisce a tutto il personale femminile in cerca di lavoro ma soltanto a quelle donne che, in relazione alle loro condizioni, si trovano in una situazione di particolare criticità. La disposizione originaria si trova nell’art. 4 della legge n. 92/2012 e riguarda le:

a. Donne con almeno 50 anni di età, disoccupate da oltre 12 mesi;

b. Donne di qualsiasi età, residenti in Regioni ammissibili ai finanziamenti nell’ambiti dei Fondi strutturali dell’Unione Europea privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi. La residenza è un elemento essenziale che deve sussistere al momento dell’assunzione, ben potendo, poi, l’interessata cambiarla;

c. Donne di qualsiasi età destinate a svolgere professioni o attività lavorative in settori economici caratterizzati da un’accentuata disparità occupazionale di genere e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi. Ogni anno i settori e le professioni sono definiti da un Decreto del Ministro del Lavoro di concerto con quello dell’Economia: l’ultimo è il n. 327 del 16 novembre 2022;

d. Donne di qualsiasi età, ovunque residenti, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi. In questo caso va verificato se nei 2 anni antecedenti l’assunzione la lavoratrice non abbia svolto un’attività di lavoro subordinato legata ad un contratto di almeno 6 mesi o un’attività di collaborazione coordinata e continuativa la cui remunerazione annua sia superiore a 8.145 euro o un’attività di lavoro autonomo tale da produrre un reddito annuo superiore a 4.800 euro (v. circolare INPS n. 32/2021).

Ma, cosa si intende per lavoro regolarmente retribuito?

E’ questo un altro passaggio da chiarire e da tenere in mente.

La nozione di lavoro regolarmente retribuito è stata, da ultimo, oggetto di definizione nel D.M. 17 ottobre 2017 che riprende concetti già fatti propri in via amministrativa dal Ministero del Lavoro: le donne alle quali si fa riferimento sono quelle che negli ultimi 6 mesi o non hanno lavorato come subordinate o hanno prestato attività come subordinate o con prestazioni riconducibili ad attività lavorativa autonoma o parasubordinata dalla quale derivi un reddito inferiore al reddito annuale minimo personale escluso da imposizione.

Da ciò si deduce che il concetto di “lavoro non regolarmente retribuito” non va riferito al fatto che la lavoratrice abbia prestato la propria attività in “nero”, ma va considerato sia sotto il profilo della durata per il contratto di lavoro subordinato che del compenso per gli autonomi o i parasubordinati. Il requisito deve sussistere al momento dell’assunzione: requisito importante, se si procede ad una assunzione a tempo determinato e, successivamente, si procede ad una trasformazione a tempo indeterminato del rapporto.

I datori di lavoro interessati sono:

a. I datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori (ad esempio, gli studi professionali, le associazioni o le fondazioni), ivi compresi quelli del settore agricolo;

b. Gli Enti pubblici economici, gli IACP trasformati in Enti pubblici economici da leggi regionali, gli Enti privatizzati trasformati in società di capitali, pur se interamente pubbliche, le ex IPAB, le aziende speciali costituite anche in consorzio ex articoli 31 e 114 del D.L.vo n. 267/2000, i consorzi di bonifica, i consorzi industriali, gli Enti morali e quelli ecclesiastici.

Ho già ricordato nelle prime righe di questa riflessione come ad essere agevolabili sono i contratti a termine fino ad un massimo di 12 mesi ed i rapporti a tempo indeterminato per i quali lo sgravio contributivo è fruibile per 18 mesi.

Sono esclusi i rapporti di lavoro instaurati attraverso un contratto di lavoro intermittente anche a tempo indeterminato, in quanto tale tipologia non è stabile perché dipende unicamente dalla “chiamata” del datore di lavoro e le prestazioni hanno la caratteristica della saltuarietà e della episodicità. È, altresì, escluso il contratto di lavoro domestico, per la particolarità dello stesso come è escluso il contratto di apprendistato che è, senz’altro, un contratto a tempo indeterminato finalizzato alla formazione dei giovani (art. 41 del D.L.vo n. 81/2015) ma che ha regole contributive, economiche e normative del tutto proprie.

Ritengo, invece, ammissibile un contratto di lavoro subordinato, sia a termine che a tempo indeterminato, per personale femminile con qualifica dirigenziale, come è ammissibile nelle società cooperative, dopo l’ammissione della donna a socio, stipulare un ulteriore contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato, ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge n. 142/2001.

L’esonero contributivo, fino a un massimo di 8.000 euro all’anno sulla quota a carico del datore di lavoro (comprensivo dei premi e contributi assicurativi INAIL) non va esteso alla c.d. “contribuzione minore”, se dovuta. Mi riferisco al:

a. Contributo, al Fondo per l’erogazione ai lavoratori del settore privato dei trattamenti di fine rapporto ex art. 2120 c.c. (art. 1, comma 755 della legge n. 296/2006);

b. Contributo, ai fondi bilaterali, al FIS ed ai Fondi delle Province Autonome di Trento e Bolzano, previsti dal D.L.vo n. 148/2015;

c. Contributo dello 0,30% in favore dei Fondi interprofessionali per la Formazione continua ex art. 118 della legge n. 388/2000;

d. Contributo, per il Fondo del settore del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali;

e. Contributo di solidarietà sui versamenti destinati alla previdenza complementare e/o ai fondi di assistenza sanitaria ex D.L. n. 103/1991;

f. Contributo di solidarietà per i lavoratori dello spettacolo ex art. 1, commi 8 e 14, del D.L.vo n. 182/1997

g. Contributo di solidarietà per gli sportivi professionisti ex art. 1, commi 3 e 4, del D.L.vo n. 166/1997.

L’effettiva fruizione dei benefici previsti dalla norma è subordinata al rispetto degli articoli 1, comma 1175 della legge n. 296/2006 e 31 del D.L.vo n. 150/2015.

Per quel che riguarda la prima norma richiamata:

a. Il datore di lavoro deve essere in regola con il DURC;

b. Il datore di lavoro non deve aver violato norme fondamentali a tutela delle condizioni di lavoro (che sono quelle richiamate già nell’allegato al primo D.M. che ha disciplinato il DURC) e deve rispettare gli altri obblighi di legge;

c. Il datore di lavoro è tenuto ad applicare gli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché quelli territoriali o aziendali, sottoscritti dalle Organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Per gli accordi aziendali, ovviamente, il riferimento, anche ai sensi dell’art. 51 del D.L.vo n. 148/2015, riguarda le “loro” Rappresentanze Sindacali Aziendali (RSA) o la Rappresentanza Sindacale Unitaria (RSU).

Per quel che concerne, invece, l’art. 31 del D. L.vo n. 150/2015 lo sgravio contributivo non viene riconosciuto:

a. Se l’assunzione costituisce attuazione di un obbligo preesistente stabilito dalla legge o dalla contrattazione collettiva: tale disposizione vale anche nel caso in cui la lavoratrice avente diritto all’assunzione venga utilizzata attraverso un contratto di somministrazione;

b. Se l’assunzione viola un diritto di precedenza previsto dalla legge o dal contratto collettivo (si pensi, ad esempio, al diritto di precedenza esternato per iscritto ex art. 24 del D.L.vo n. 81/2015 da una lavoratrice o un lavoratore con precedente contratto a tempo determinato, o a un lavoratore (o lavoratrice) licenziato per giustificato motivo oggettivo nei sei mesi precedenti secondo la previsione dell’art. 15, comma 6, della legge n. 264/1949, o ad un dipendente non transitato a seguito di cessione di azienda o ramo di essa presso il nuovo datore, il quale per 12 mesi è titolare di tale diritto, come ricorda l’art. 47, comma 6, della legge n. 428/1990;

c. Se presso il datore di lavoro o l’utilizzatore con contatto di somministrazione siano in atto sospensioni per crisi o riorganizzazione aziendale (si parla, quindi, di un intervento integrativo salariale straordinario), a meno che l’assunzione programmata non sia per un livello completamente diverso da quello dei lavoratori in integrazione salariale straordinaria o sia destinato a prestare attività in una unità produttiva diversa da quella interessata alla sospensione;

d. Se la lavoratrice neo assunta risulti essere stata licenziata nei 6 mesi antecedenti da un datore di lavoro che, al momento del licenziamento, presentava assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli del datore di lavoro assumente, o risultava con quest’ultimo in rapporto di collegamento o controllo.

Gli ostacoli da superare per l’ottenimento del beneficio non sono terminati: resta l’ultimo, secondo il quale, l’assunzione della donna deve essere incrementale come ricorda l’art. 4 della legge n. 92/2012.

L’incremento occupazionale deve essere netto rispetto alla media dei 12 mesi precedenti, secondo le indicazioni fornite sia dall’art. 2, punto 32, del Regolamento UE n. 651/2014, che dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza n, C-415/07 del 2009 ove si stabilisce che la valutazione dell’incremento avviene confrontando “il numero medio di Unità di Lavoro Annuo (U.L.A.) dell’anno precedente all’assunzione con il numero medio di U.L.A. dell’anno successivo all’assunzione”.

L’art. 2 del Regolamento n. 1407/2013, afferma che per incremento occupazionale “deve intendersi l’aumento netto del numero dei dipendenti dello stabilimento rispetto alla media relativa ad un periodo di riferimento (nel nostro caso i 12 mesi antecedenti); i posti di lavoro soppressi in tale periodo debbono essere dedotti e il numero dei lavoratori occupati a tempo pieno, a tempo parziale o stagionalmente va calcolato considerando le frazioni di unità lavoro-anno”. Nel caso in cui ci si trovi di fronte ad aziende correlate o collegate tra loro in modo tale da rientrare nel concetto di “impresa unica”, il calcolo va fatto su tutte le aziende secondo criteri già fissati nel Regolamento sul “de minimis”. Ciò si verifica:

a. Quando un’impresa detiene la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di un’altra impresa;

b. Quando un’impresa ha diritto di nominare o revocare la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione, direzione o sorveglianza di un’altra impresa;

c. Quando un’impresa ha il diritto di esercitare un’influenza dominante su un’altra impresa in virtù di un contratto concluso con quest’ultima o in virtù di una clausola dello statuto di quest’ultima;

d. Quando un’impresa azionista o socia di un’altra impresa controlla da sola, in virtù di un accordo stipulato con azionisti o soci dell’altra impresa, la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di quest’ultima.

Il beneficio non viene riconosciuto per i mesi nei quali l’incremento non si è realizzato. Lo sgravio contributivo viene, comunque, riconosciuto pur se l’incremento non si è realizzato perché nel periodo sotto osservazione si sono resi vacanti posti di lavoro per:

a. Dimissioni volontarie, che nel nostro Paese sono, soltanto, quelle telematiche ex art. 26 del D.L.vo n. 151/2015 e conseguente D.M. applicativo, oppure quelle “protette” rese avanti ad un funzionario dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro ex L.vo n. 151/2001 il quale, per effetto dell’art. 27-bis introdotto dal D.L.vo n. 105/2022, comprende anche i padri in congedo obbligatorio di paternità, quelle definite in sede di conciliazione avanti ad uno degli organi deputati ex articoli 410 e 411 cpc, in sede giudiziale o in sede di negoziazione assistita (istituto varato con la c.d. “Riforma Cartabia”);

b. Invalidità;

c. Pensionamento per raggiunti limiti di età, dizione che dovrebbe comprendere anche forme di pensionamento anticipato (quota 103, opzione donna, ape sociale, ecc.) previste dall’ordinamento;

d. Riduzione volontaria dell’orario di lavoro realizzabile attraverso accordi di trasformazione dei rapporti da tempo pieno a tempo parziale, come previsto dall’art. 8 del D.L.vo n. 81/2015;

e. Licenziamento per giusta causa.