Requisiti ed elementi essenziali
Appare necessario individuare alcuni indici rivelatori della “genuinità” o meno di un appalto, che consentano di applicare correttamente gli ambiti di tutela normativamente previsti nei confronti dei dipendenti dell’appaltatore, e in questo senso si è mossa la circolare del Ministero del Lavoro n. 5 dell’11 febbraio 2011.
Gli elementi che congiuntamente connotano un appalto genuino, anche a norma dell’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003, sono essenzialmente due, con riferimento all’opera o servizio dedotti in contratto: l’assunzione del rischio di impresa e l’organizzazione autonoma dei mezzi e delle risorse necessari per l’esecuzione dell’appalto, che può ricavarsi anche dalla gestione ed organizzazione del personale impiegato nell’appalto ai fini del compimento dell’oggetto dell’appalto.
In giurisprudenza, peraltro, sono stati elaborati indici e criteri rivelatori essenziali per identificare un appalto non genuino che, sebbene antecedenti al quadro normativo attuale, possono considerarsi in continuità logica con essa:
1) mancanza in capo all’appaltatore della qualifica di imprenditore, di un’organizzazione (tecnica, finanziaria ed economica) di tipo imprenditoriale;
2) mancanza dell’effettivo esercizio del potere direttivo da parte dell’appaltatore;
3) impiego di capitali, macchine e attrezzature fornite dall’appaltante;
4) natura delle prestazioni svolte che esula da quelle dell’appalto, afferendo a mansioni tipiche dei dipendenti del committente, anche con commistione fra dipendenti del committente e dell’appaltatore;
5) corrispettivo pattuito in base alle ore effettive di lavoro e non riguardo all’opera compiuta o al servizio eseguito, ovvero corresponsione della retribuzione direttamente da parte del committente.
Tutele retributive
Gli obblighi di tipo retributivo connessi al corretto utilizzo dell’appalto vanno evidenziati con riguardo alla circostanza che i trattamenti retributivi minimi da garantire ai lavoratori utilizzati nell’appalto rimangono affidati alla contrattazione collettiva.
Pertanto, fermo restando quanto disposto dall’art. 36 della Costituzione e dall’art. 36 dello Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300) si possono verificare diversificazioni salariali, nel contesto dello stesso appalto, fra i dipendenti dell’appaltatore e quelli del committente che svolgono prestazioni in astratto omogenee o comunque analoghe o comparabili (contrariamente a quanto accade nelle ipotesi di somministrazione di lavoro, dove, per effetto dell’art. 23, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003, ai dipendenti del somministratore deve essere assicurato un trattamento retributivo commisurato a quello dei dipendenti dell’utilizzatore).
La circolare n. 5/2011, sottolinea come questa tutela si faccia «ancor più stringente» nel contesto degli appalti e dei subappalti che si sviluppano nel settore edile, nel quale rileva in maniera significativa l’impatto della corretta e integrale applicazione della parte economico-normativa del CCNL, anche con riferimento alla iscrizione alla Cassa Edile e al relativo versamento della contribuzione al medesimo organismo bilaterale, in ragione del rilascio del DURC in assenza del quale viene meno lo stesso titolo ad edificare.
Particolare rilievo assume la tutela economica dei lavoratori impegnati nell’appalto in aziende del settore artigiano, anche per quanto attiene l’integrale rispetto delle disposizioni in ordine alla adesione al sistema della bilateralità, ovvero all’applicazione delle norme della parte economico-normativa del CCNL con la corresponsione del previsto elemento aggiuntivo della retribuzione per garantire «condizioni di effettiva equivalenza retributiva» (MLPS, circolare n. 43 del 15 dicembre 2010).
Congruità di manodopera
A tutela ulteriore dei lavoratori impiegati in appalto, è intervenuto il D.M. 25 giugno 2021, n. 143 (cfr. INL, Nota 19 luglio 2021, n. 5223), che ha introdotto un sistema di verifica della congruità dell’incidenza della manodopera utilizzata nella realizzazione di lavori edili il cui valore risulti complessivamente di importo pari o superiore a 70.000 euro (escluse le opere per la ricostruzione delle aree colpite da eventi sismici del 2016), a decorrere dal 1° novembre 2021 (DURC di congruità), per assicurare che la manodopera utilizzata sia in misura proporzionata all’incarico affidato all’impresa appaltatrice.
La verifica della congruità della manodopera è effettuata in base agli indici minimi riferiti alle singole categorie di lavori, riportati nella tabella allegata all’Accordo collettivo 10 settembre 2020. Per la verifica si tiene conto delle informazioni dichiarate alla Cassa Edile/Edilcassa territorialmente competente, con riferimento al valore complessivo dell’opera, al valore dei lavori edili previsti per la realizzazione di essa, alla committenza, nonché alle eventuali imprese subappaltatrici e sub-affidatarie. In caso di variazioni riferite ai lavori oggetto di verifica, l’impresa deve dimostrare la congruità in relazione al nuovo valore determinato dalle varianti. L’esito negativo della verifica di congruità determina l’iscrizione dell’impresa nella Banca nazionale delle imprese irregolari (BNI) e incide, dalla data di emissione, anche sulle verifiche di regolarità contributiva finalizzate al rilascio per l’impresa del DURC on-line.
Appalto illecito
Se l’appalto è illecito, perché privo dei requisiti legali di cui all’art. 29, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003 e all’art. 1655 cod. civ., si configura un’ipotesi di somministrazione illecita di manodopera, ovvero di «interposizione illecita», utilizzando la dizione letterale contenuta nell’art. 84, comma 2, del decreto, trattandosi, di fatto, di una somministrazione di lavoro posta in essere da soggetto non autorizzato e del tutto al di fuori degli schemi legali riconosciuti leciti dalla norma. Quanto ai profili sanzionatori, l’art. 18, comma 5-bis, del D.Lgs. n. 276/2003, deve essere letto in uno con la novella legislativa introdotta dall’art. 1 del D.Lgs. n. 8/2016, in base al quale la norma – originariamente composta da una contravvenzione e da una aggravante – ora si struttura in due illeciti distinti:
– un illecito amministrativo che punisce l’appalto illecito (art. 18, comma 5-bis, primo periodo, D.Lgs. n. 276/2003);
– un illecito penale (contravvenzione) che punisce l’appalto illecito con sfruttamento di minori (art. 18, comma 5-bis, secondo periodo, D.Lgs. n. 276/2003).
Qui, a differenza che nelle due violazioni distinte della somministrazione abusiva e della utilizzazione illecita, l’illecito è unico e rappresenta, sotto un profilo soggettivo, un «illecito plurisoggettivo proprio», in cui entrambi i soggetti datoriali rispondono di una condotta attiva, che consiste nella realizzazione di un appalto al di fuori degli schemi legali, nel quale, di fatto, si è fittiziamente celata una vera e propria somministrazione abusiva di mere prestazioni di lavoro (interposizione illecita).
Quanto agli effetti della condotta antidoverosa, l’interposizione illecita da pseudo-appalto costituisce un’ipotesi di illecito permanente, giacché committente e appaltatore partecipano con le rispettive condotte alla realizzazione del fatto illecito fin dal primo momento in cui i lavoratori vengono di fatto utilizzati al di fuori degli schemi legali dell’appalto quali veri e propri dipendenti dell’appaltante, ma poi la violazione si perpetua in forma permanente nel susseguirsi dei giorni di occupazione, ma invero di lavoro effettivo, in cui gli stessi prestano attività lavorativa sotto le direttive dello pseudo-committente.
Ai sensi dell’art. 18, comma 5-bis, del D.Lgs. n. 276/2003, come novellato dal D.Lgs. n. 8/2016, pertanto, l’appaltatore e il committente che abbiano posto in essere, in esecuzione di un fittizio contratto di appalto di opere o di servizi, una mera fornitura o somministrazione di lavoratori da parte del secondo al primo, sono entrambi soggetti alla sanzione amministrativa pecuniaria, proporzionale progressiva (circolare n. 5/2011), pari a 60,00 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione (70 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione in caso di recidiva nel triennio; legge n. 145/2018).
La sanzione da applicare va calcolata moltiplicando la base monetaria per un coefficiente (il numero dei lavoratori) e in seguito moltiplicando il prodotto derivante da tale operazione per l’altro coefficiente (il numero delle giornate), come chiarito dal Ministero del Lavoro con Nota 21 febbraio 2008, n. 2852.
Inoltre, l’importo della sanzione amministrativa concretamente da irrogare, in base all’art. 1, comma 6, del D.Lgs. n. 8/2016, «è pari all’ammontare della multa o dell’ammenda ma non può, in ogni caso, essere inferiore a euro 5.000 né superiore a euro 50.000» (circolare n. 6/2016). Ne consegue che quando la somma da calcolo risulta inferiore al minimo, la sanzione da irrogare va adeguata a tale minimo e su tale importo va calcolata la sanzione «in misura ridotta» (art. 16, legge n. 689/1981). La diffida a regolarizzare (art. 13, D.Lgs. n. 124/2004) non può trovare applicazione.
Appalto illecito con sfruttamento di minori
L’art. 18, comma 5-bis, secondo periodo, del D.Lgs. n. 276/2003, dopo l’intervento dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 8/2016, disciplina un illecito penale a carattere contravvenzionale che punisce l’appalto illecito con sfruttamento di minori. La locuzione «sfruttamento dei minori» fa riferimento al disposto normativo della legge n. 977/1967, come modificata dal D.Lgs. n. 345/1999, relativa all’impiego lavorativo dei minori.
Si ha «sfruttamento» di minori, a seguito dell’illegale impiego lavorativo dei minori nell’appalto illecito. Si tratta dell’unica ipotesi di reato nella vicenda degli appalti illeciti, nella quale la pena è dell’ammenda fino a 360,00 euro per ciascun lavoratore e per ciascuna giornata (art. 1, comma 445, lett. d), n. 1, della legge n. 145/2018) congiuntamente alla pena detentiva dell’arresto fino a 18 mesi: una pena “a proporzionalità progressiva”, con base sanzionatoria in misura fissa e coefficiente moltiplicatore variabile. Si ha pena congiunta dell’arresto fino a 18 mesi e dell’ammenda fino a 420,00 euro per ciascun lavoratore e per ciascuna giornata se, nei tre anni precedenti, il soggetto è stato sanzionato per lo stesso illecito (art. 1, comma 445, lett. e), legge n. 145/2018; INL, circolare 14 gennaio 2019, n. 2 e nota n. 1148 del 5 febbraio 2019).
Appalto fraudolento
A fronte dell’art. 38-bis del D.Lgs. n. 81/2015 (introdotto dall’art. 2, comma 1-bis, del D.L. n. 87/2018, convertito dalla legge n. 96/2018), che disciplina il reato di somministrazione fraudolenta, l’appalto posto in essere con le specifiche finalità «di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore» previste dalla norma assume la rilevanza penale già vista a proposito della somministrazione di lavoro fraudolenta, con applicazione della pena dell’ammenda di euro 20,00 per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione.
Nella circolare INL n. 3 del 12 febbraio 2019, si sottolinea come il reato di somministrazione fraudolenta possa di norma afferire alle ipotesi di appalto realizzato in mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 1655 cod. civ., come enucleabili ai sensi dell’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003, all’evidente scopo di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo.
La circolare INL n. 3/2019, come già la circolare ministeriale n. 5/2011, richiama gli ispettori del lavoro all’esercizio puntuale del potere di prescrizione obbligatoria nei confronti sia dello pseudo appaltatore (per l’intimazione alla immediata cessazione della condotta illegale) sia dello pseudo committente fraudolento (per la tempestiva regolarizzazione quali lavoratori subordinati di quanti sono stati impiegati nello pseudo appalto fraudolento).
D’altra parte, con la circolare INL n. 3/2019 si ribadisce specificamente che nei confronti del committente-utilizzatore fraudolento il personale ispettivo può adottare il provvedimento di diffida accertativa per i crediti patrimoniali di lavoro (art. 12, D.Lgs. n. 124/2004), spettanti ai lavoratori impiegati nell’appalto, in ragione delle differenze retributive effettivamente dovute e fraudolentemente non corrisposte, sulla scorta del CCNL applicato dal committente-utilizzatore.
La stessa circolare INL n. 3/2019 specifica, sia pure a titolo esemplificativo, che le norme inderogabili la cui elusione rappresenta indice di fraudolenza possono identificarsi in quelle che: determinano gli imponibili contributivi (art. 1, comma 1, D.L. n. 338/1989, convertito dalla legge n. 389/1989); stabiliscono divieti alla somministrazione di lavoro (art. 32, D.Lgs. n. 81/2015); prevedono requisiti specifici o limiti per l’utilizzo della somministrazione di lavoro (artt. 31 e 33 del D.Lgs. n. 81/2015).
Il ricorso illecito all’appalto, in effetti, come avvalorato dall’INL, consente allo pseudo-committente di conseguire «effettivi risparmi sul costo del lavoro derivanti dalla applicazione del trattamento retributivo previsto dal CCNL dall’appaltatore e dal connesso minore imponibile contributivo». Allo stesso modo dalla «accertata elusione dei divieti posti dalle disposizioni in materia di somministrazione» deriva un quadro probatorio «sicuramente sufficiente a dimostrare quell’idoneità dell’azione antigiuridica che disvela l’intento fraudolento», così testualmente nella Circolare INL n. 3/2019.
Sanzioni civili per appalto illecito e fraudolento
Sul piano sanzionatorio civilistico l’art. 29, comma 3-bis, introdotto dall’art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 251/2004 pone in capo ai lavoratori interessati da un appalto illecito la facoltà di adire il Giudice per la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dello pseudo-committente, datore di lavoro effettivo. In caso di contratto di appalto stipulato senza i requisiti legali, quindi, i lavoratori impiegati nell’appalto di opere o di servizi possono proporre ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. al Giudice del lavoro al fine di ottenere la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’effettivo utilizzatore delle prestazioni lavorative rese.
La circolare INL n. 10/2018 sottolinea come l’art. 29, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 276/2003 lasci «alla libera iniziativa del lavoratore» la richiesta della costituzione del rapporto di lavoro in capo all’effettivo utilizzatore attraverso ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. al Tribunale in funzione di Giudice del lavoro. La circostanza che il lavoratore venga ad essere considerato dipendente dell’effettivo utilizzatore è subordinata al «fatto costitutivo dell’instaurazione del rapporto di lavoro su domanda del lavoratore» (Cass. n. 25014/2015). Gli ispettori del lavoro possono comunque adottare il provvedimento di diffida accertativa (ex art. 12, D.Lgs. n. 124/2004) per le «retribuzioni non correttamente corrisposte in ragione del CCNL dallo stesso applicato».
Mentre, l’appalto fraudolento in quanto in frode alla legge è, per i principi generali, nullo per illiceità della causa negotii (artt. 1344 e 1418, comma 2, cod. civ.), inverandosi in una somministrazione priva dei requisiti essenziali di liceità, validità e legittimità. In particolare, in caso di appalto fraudolento si ha la naturale estensione applicativa del precetto contenuto nell’art. 38, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015, a mente del quale in mancanza di forma scritta il contratto di somministrazione di lavoro è nullo, nonché della connessa previsione sanzionatoria secondo cui quando il contratto di somministrazione è nullo «i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore».
D’altra parte, la circolare n. 5/2011 prevede che, «valutate tutte le circostanze», gli ispettori del lavoro adottino, nei confronti dello pseudo-committente utilizzatore fraudolento, secondo le indicazioni fornite con la Circolare n. 24 del 24 giugno 2004, anche il provvedimento di diffida accertativa (art. 12, D.Lgs. n. 124/2004) per i crediti patrimoniali maturati dai lavoratori impiegati nell’appalto, per le differenze retributive riscontrate.”