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Rapporto subordinato degli Amministratori e dei Presidenti: quando e’ possibile

Approfondimento del dr. Eufranio Massi, esperto in Diritto del Lavoro, in materia di rapporto subordinato degli Amministratori e Presidenti di Società.
 

I consulenti del lavoro e, in genere, i professionisti che assistono le aziende, si trovano ad affrontare alcune questioni relative al fatto che organi apicali delle aziende hanno con le stesse (o chiedono di costituire) anche un rapporto di lavoro subordinato. Sono problemi che si rinvengono anche nelle piccole e medie aziende, con contenziosi amministrativi che nascono con l’INPS e con l’Agenzia delle Entrate circa la veridicità del rapporto di natura subordinato, il cui obiettivo principale (ma non solo) è quello di creare una posizione di natura pensionistica più solida.

Ritengo, perciò, opportuno soffermarmi su questo argomento esaminando sia gli indirizzi che la giurisprudenza di legittimità della Cassazione ci ha fornito negli anni passati che quelli espressi dall’INPS che, in particolar modo con il messaggio n. 3359/2019, ha riassunto le posizioni dell’Istituto con una disamina particolarmente esaustiva.

Ma, andiamo con ordine.

Sin dalla metà degli anni novanta le Sezioni Unite della Cassazione hanno fissato alcuni principi finalizzati a rendere plausibile la coesistenza tra le c.d. “figure apicali” che rappresentano, a vario titolo, i vertici delle aziende e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato (Cass. S.U. n. 10680/1994).

Alla fine del 2021 con la sentenza n. 36362, la Corte di Cassazione, accogliendo un ricorso dell’Agenzia delle Entrate,  ha disposto il recupero alla ordinaria tassazione di alcune spese che una impresa aveva sostenuto per alcuni soci amministratori che avevano, in contemporanea, un rapporto di lavoro subordinato, stabilendo che sussiste una incompatibilità assoluta tra le figure di presidente e di amministratore unico, poiché in capo agli stessi soggetti non sono cumulabili i poteri di rappresentanza, di direzione e di controllo, con la subordinazione: il tutto, accertato, con prove, nei giudizi di merito.

Ma, allora, ci sono spazi per una sussistenza contemporanea?

La Corte, nelle numerose sentenze che sono state depositate negli anni appena trascorsi (v. anche Cass. n. 9723/2019), ha affermato che le due posizioni possono coesistere a condizione che chi intende far valere il rapporto di lavoro subordinato, dal quale discendono anche effetti di natura previdenziale, deve fornire la prova del vincolo di subordinazione. Si tratta di un passaggio molto stretto ma che comunque, seppur impervio, sussiste, laddove si dimostri, ad esempio, che:

a)     L’amministratore è soltanto uno dei componenti del consiglio; 

b)     Le delibere sono adottate da un organo collegiale;

c)   La prova delle subordinazione sia, veramente, rigorosa, avuto riguardo sia alle mansioni svolte che alla sussistenza degli elementi tipici del contratto di lavoro, sottoscritto ai sensi del CCNL applicato (quello dei Dirigenti o, come accade nelle piccole realtà, quello del CCNL applicato in azienda, magari con riferimento alla figura del quadro). Ovviamente, nel caso in cui la qualifica sia di natura dirigenziale, la figura della subordinazione va valutata nelle forme attenuate tipiche di tale categoria.

Con il messaggio n. 3359/2019 l’INPS focalizza la posizione dell’Istituto partendo dalla circolare n. 179/1989 che, peraltro, come detto chiaramente, risulta ampiamente superata dalla determinazioni addotte dalla giurisprudenza di legittimità negli anni successivi. In particolare si precisa che:

a)     La carica di presidente, di per se stessa, non è, in linea di principio, incompatibile con lo status di lavoratore subordinato, in quanto lo stesso, al pari di qualsiasi membro del consiglio di amministrazione, può essere soggetto al controllo dell’organo collegiale ed alle sue direttive (Cass. n. 11978/2004 e n. 18414/2013). Il potere di rappresentanza, di per sé non è determinante per la esclusione del rapporto di lavoro subordinato, in quanto la delega non estende automaticamente i diversi poteri deliberativi. Ovviamente, tutto va visto non “in astratto”, ma nel “concreto”;

b)     Diverso è il discorso riguardante l’amministratore unico che, proprio per la sua posizione, esprime sempre la volontà dell’azienda o dell’Ente ed è, quindi, titolare dei poteri di controllo, comando e disciplina: qui non ci può essere alcuna compatibilità tra l’essere amministratore unico e lavoratore dipendente della medesima società (Cass., 24188/2006);

c)     Per l’amministratore delegato occorre esaminare l’ampiezza della delega conferita dal consiglio di amministrazione, se generale (con gestione della società nella sua interezza) o parziale (limitatamente ad alcuni atti di gestione): qui la valutazione con l’eventuale rapporto di lavoro subordinato, in caso di delega parziale, va effettuata con riferimento alla situazione concreta, mentre nell’ipotesi di delega generale non è ammissibile il rapporto di lavoro dipendente;

d)     Per il socio unico il rapporto di lavoro subordinato è, senz’altro, da escludere in quanto nelle sue mani è concentrata la proprietà, nonostante l’esistenza della società come distinto soggetto giuridico. Infatti, sottolinea la Cassazione (Cass., n. 21759/2004), il socio che abbia la esclusiva titolarità dei poteri di gestione non può rivestire, contemporaneamente, la figura di lavoratore subordinato, non essendoci la possibilità di “ricollegare ad una volontà sociale la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro”.

Fonte Dottrina per il Lavoro