La Corte di Cassazione, con sentenza n. 8039 dell’11 marzo 2022, ha ribadito che la continuazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della cessionaria (o della retrocessionaria) si realizza, ai sensi dell’art. 2112 c.c., per i lavoratori che sono dipendenti dalla cedente (o della retrocedente) al momento del trasferimento o che tali devono considerarsi per effetto della nullità o dell’annullamento del licenziamento, con ripristino o reintegra nel posto di lavoro.
Nel caso in trattazione, una società a responsabilità limitata aveva dato in gestione ad un’altra società il reparto di produzione e vendita al minuto di prodotti di pizzeria, rosticceria e friggitoria, in cui erano impiegati due lavoratore, con un contratto di cessione che prevedeva il passaggio dei lavoratori dalla cedente alla cessionaria con obbligo della prima, in caso di risoluzione dell’affidamento per qualsiasi causa, di ricostituire i rapporti di lavoro. Le due società, con una scrittura privata, avevano risolto il contratto di affidamento ed i due lavoratori ceduti, licenziati per giustificato motivo dalla società cessionaria, avevano agito contro la srl cedente che non aveva provveduto a ricostituire i due rapporti di lavoro.
In primo grado il Tribunale accoglieva il ricorso e condannava la società a proseguire i rapporti di lavoro con i ricorrenti, sulla base del contratto concluso tra le due società che prevedeva la continuazione del rapporto di lavoro dei dipendenti senza soluzione di continuità, ai sensi dell’art. 2112 c.c., e la ricostituzione del rapporto in capo alla cedente in caso di risoluzione del contratto di affidamento, per qualsiasi causa. I Giudici, inoltre, escludevano che la mancata impugnativa dei licenziamenti potesse essere di ostacolo alla ricostituzione dei rapporti di lavoro in capo alla cedente. Anche la Corte d’Appello, adita dalla società datrice, confermava la decisone statuendo che l’effetto ripristinatorio dei rapporti di lavoro presso la originaria cedente trovava copertura normativa nell’art. 2112 c.c, applicabile anche alla fattispecie di retrocessione, come nel caso in esame.
Avverso quest’ultima pronuncia, la società ricorrente, proponeva ricorso in Cassazione lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 6. Il Collegio, proprio riguardo alla fattispecie del trasferimento di azienda, regolato dall’art. 2112 c.c., ricordava che esso ricorre tutte le volte in cui, rimanendo immutata l’organizzazione aziendale, vi sia soltanto la sostituzione della persona titolare, indipendentemente dallo strumento tecnico-giuridico adottato. Infatti, la Corte di Cassazione specificava che “ad integrare le condizioni per l’operatività della tutela del lavoratore, è sufficiente il subentro nella gestione del complesso dei beni organizzati ai fini dell’esercizio dell’impresa, ossia la continuità nell’esercizio dell’attività imprenditoriale, restando immutati il complesso dei beni organizzati dell’impresa e l’oggetto di quest’ultima. L’impiego del medesimo personale e l’utilizzo dei medesimi beni aziendali costituiscono un indice probatorio di tale continuità” (Cass. n. 26808/2018 e n. 12771/2012).
Secondo gli Ermellini la Corte di merito aveva correttamente trovato il fondamento normativo del diritto dei lavoratori alla prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della originaria cedente, poi retrocessionaria, nell’art. 2112 c.c. ma aveva errato nella ricostruzione dei rapporti in quanto era da escludersi che potesse “continuare” un rapporto di lavoro non più esistente all’epoca del trasferimento, cioè definitivamente cessato in fatto e anche de iure, per la mancata impugnativa dell’atto di recesso. Nell’ipotesi in cui, come accade nella fattispecie in esame, in epoca anteriore al trasferimento, sia stato intimato il licenziamento, la norma di cui all’art. 2112 c.c. può operare solo a condizione che sia dichiarata la nullità o l’illegittimità del licenziamento, con le conseguenze a ciò connesse in termini di ripristino del rapporto di lavoro alle dipendenze della cedente. Solo la declaratoria di nullità o l’annullamento dell’atto di recesso avrebbero consentito di considerare il lavoratore dipendente della cedente al momento della cessione, con trasferimento e continuazione del suo rapporto di lavoro in capo alla cessionaria.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione, sottolineando che “la continuazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della cessionaria (o della retrocessionaria) si realizza, ai sensi dell’art. 2112 c.c., per i lavoratori che sono dipendenti dalla cedente (o della retrocedente) al momento del trasferimento o che tali devono considerarsi per effetto della nullità o dell’annullamento del licenziamento, con ripristino o reintegra nel posto di lavoro” accoglieva il ricorso.