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Il datore di lavoro può escludere dalle trattative talune sigle sindacali

Il Tribunale di Padova, ordinanza n° 1621 del 30 dicembre 2021, ha riconosciuto al datore di lavoro la possibilità di condurre trattative sindacali separate con le rappresentanze dei lavoratori, potendo altresì decidere di escludere talune organizzazioni, atteso che tale estromissione non integra condotta antisindacale ex. art. 28, Legge 20 maggio 300 del 1970.

La controversia trae origine dall’avvio delle trattative per il rinnovo di un accordo collettivo aziendale avente ad oggetto il premio di risultato, siglato da una sola organizzazione sindacale (FIM CISL). Dalla suddetta fase di preparazione al rinnovo, un’altra sigla sindacale non firmataria del precedente accordo (FIOM CGIL), è stata esclusa dalle negoziazioni.

Dietro l’esclusione vi era l’impossibilità di condurre una trattativa unitaria tra le due rappresentanze sindacali; in particolare, la FIM CISL si rifiutava di negoziare con la FIOM CGIL più per ragioni di natura personale che di appartenenza sindacale, dato che dal novembre 2020 erano stati esternati atteggiamenti offensivi e diffamatori cui non avevano mai fatto seguito delle scuse formali, richieste come segnale di distensione imprescindibile per il ripristino di una collaborazione produttiva.

Indipendentemente dalle motivazioni che avevano originato l’impossibilità di condurre una contrattazione unitaria, la società, nell’ambito della sua libertà negoziale, pur rispettando le prerogative ed il pluralismo sindacale, non riteneva vantaggioso procedere a trattative separate perché inappropriate stante le dimensioni della realtà aziendale (200 dipendenti); per di più, lo stesso datore non poteva ignorare il differente peso specifico, in termini di rappresentatività, delle due organizzazioni sindacali (FIM CISL con 95 iscritti in attivo contro i 4 iscritti della FIOM CGIL che, tra l’altro, era presente solo dal 2015).

Per queste ragioni la FIOM CGIL non solo chiedeva l’accertamento di una condotta datoriale diretta ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale, ma anche l’ordine di cessazione della condotta illegittima con rimozione degli effetti.

Il Tribunale di Padova ha escluso che la condotta aziendale potesse essere ricondotta all’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, non potendo il datore di lavoro entrare nei rapporti intersindacali; quest’ultimo ha legittimamente accettato di negoziare con il solo sindacato firmatario dell’accordo inclusivo del bonus di risultato anche in sede di rinnovo, arrivando in tal modo a garantire il beneficio dell’incremento retributivo ai propri dipendenti entro un termine ragionevole.

Infatti, in capo al datore di lavoro non esiste alcun obbligo generale a trattare: costui può legittimamente scegliere con chi trattare, potendo in tal modo anche eventualmente escludere dalla trattativa alcuni sindacati; parimenti non esiste un obbligo a trattative separate.

Inoltre, l’art. 4 della sezione III del CCNL di settore (metalmeccanica-industria) rubricato “contrattazione aziendale” prevede che: “le richieste di rinnovo dell’accordo aziendale dovranno essere sottoscritte dalla rappresentanza sindacale unitaria e dalle strutture territoriali delle Organizzazioni sindacali stipulanti” e, quindi, nel caso di specie, dalla sola FIM CISL poiché la FIOM CGIL e la RSU FIOM non sono firmatarie né hanno negoziato l’accordo sull’erogazione del premio di risultato materia di rinnovo.

Infine, considerato l’oggetto della contestata antisindacabilità della condotta datoriale, viene a mancare il requisito dell’attualità quale elemento legittimante l’esperibilità del procedimento previsto dall’art. 28 Stat. Lav.; nel caso di specie, una volta intervenuto il rinnovo del contratto aziendale, risultava venuto meno l’interesse dell’organizzazione sindacale ricorrente.