La Corte di Cassazione, ordinanza n° 26692 del 1° ottobre 2021, ha (ri)affermato che l’apposizione di un termine di durata al contratto di lavoro subordinato deve necessariamente trovare l’esplicazione puntuale della sua ragione legittimante nel contratto individuale, ragione che non può consistere nel mero rinvio ad una norma di legge e/o di contratto collettivo.
Il caso esaminato ha riguardato un contratto a tempo determinato sottoscritto il 30.04.2001, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 368/2001, pertanto legittimato dalla L. 230/62 (id: ipotesi tassative individuate dal legislatore) ovvero L. 56/87 -art. 23- (id: ipotesi individuate dalla contrattazione collettiva nazionale).
Nel primo grado il datore è risultato soccombente, mentre, nel secondo grado, la Corte distrettuale aveva ritenuto corretto il (mero) rinvio giuridico alla L. 230/62 art. 1.
Gli Ermellini, invece, dopo una ricognizione della normativa che medio tempore ha regolato il contratto a tempo determinato, hanno (ri)affermato che il semplice rinvio alla L. 230/62 non può essere ritenuto sufficiente, in quanto non compete al Giudice sussumere le fattispecie de qua ad una delle ipotesi previste dal legislatore. Parimenti, laddove si fosse trattato di una ipotesi prevista dalla contrattazione collettiva, risultava necessario indicare la previsione del CCNL (allegandone copia) al fine di desumere la sussistenza della specifica causale.
La sentenza è di particolare interesse ed attualità, attesa la recente previsione introdotta dal D. L. 73/2021 (convertito da L. n° 106/2021) che, aggiungendo la lettera b-bis) all’art. 19 co. 1 del d.lgs. 81/2015, autorizza la contrattazione collettiva (anche aziendale) alla individuazione di specifiche ipotesi legittimanti l’apposizione del termine.