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Illegittimo il licenziamento del lavoratore in età pensionabile che opta per la permanenza in servizio

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10883 del 23 aprile 2021, ha sancito l’illegittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore di un’azienda di trasporto pubblico in possesso del requisito anagrafico per il conseguimento della pensione di vecchiaia anticipata che aveva manifestato la propria volontà a non accedere al pensionamento anticipato ed a rimanere in servizio.

Nel caso in esame, un dipendente con mansioni di conducente di autobus di un’azienda di trasporto pubblico impugnava il licenziamento intimato sul presupposto che il rapporto di lavoro, alla data dell’1.12.2017, doveva ritenersi risolto ad ogni effetto di legge per il raggiungimento dei requisiti pensionistici previsti dalla legge. Il Tribunale accoglieva l’impugnativa, disponeva la reintegrazione nel posto di lavoro e condannava la società datrice al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. La Corte d’Appello, confermando la pronuncia di primo grado, rigettava il reclamo proposto dalla soccombente. Secondo la Corte di merito, infatti, il combinato disposto dell’art. 3, comma 1, lett. b), D.lgs. n. 414/1996 e dell’art. 1 D.lgs. n. 67/2011 attribuiva la facoltà al personale viaggiante addetto ai pubblici servizi di trasporto di accedere alla pensione anticipata di vecchiaia, ma solo su domanda del lavoratore stesso, di conseguenza in mancanza di una richiesta del lavoratore la società non avrebbe potuto recedere dal rapporto di lavoro al compimento dell’età per la pensione anticipata di vecchiaia.

Avverso tale sentenza la società proponeva ricorso in Cassazione lamentando violazione dell’art. 3 D.lgs. n. 414/1996 e dell’art. 1 D.lgs. n. 67/2011, per avere i Giudici di merito erroneamente ritenuto sussistente un diritto del lavoratore alla prosecuzione del rapporto in regime di stabilità reale fino al raggiungimento dell’età anagrafica per la pensione di vecchiaia prevista dalla legge per la generalità dei lavoratori, nonostante quest’ultimo al momento del licenziamento avesse già conseguito il diritto alla pensione di vecchiaia riservata dalla legge al personale viaggiante.

In via preliminare la Corte rilevava che soltanto la maturazione del diritto al pensionamento di vecchiaia consente al datore di lavoro il recesso ad nutum (ex multis Cass. n. 6537 del 2014; Cass. n. 13181 del 2018; Cass. n. 432 del 2019; Cass. n. 18662 del 2020); ciò sul presupposto che soltanto il diritto alla pensione di vecchiaia si consegue automaticamente al verificarsi dell’evento protetto, mentre il diritto alla pensione di anzianità si consegue con il necessario concorso della volontà dell’interessato. Secondo la Corte era necessario verificare se il lavoratore ultrasessantenne, al momento del licenziamento, fosse in possesso dei requisititi per il conseguimento della pensione di vecchiaia e se la volontà espressa dal lavoratore di permanere in servizio precludesse comunque il suo licenziamento. I Giudici Supremi, rilevavano come, nel caso di specie, operasse il regime previdenziale speciale che prevede la possibilità di erogare al personale viaggiante una “pensione di vecchiaia al raggiungimento del requisito anagrafico ridotto di cinque anni rispetto a quello tempo per tempo in vigore nel regime generale obbligatorio” che, letto in combinato con il D.L. n. 201/2011, consentiva di affermare che il lavoratore, al momento del recesso datoriale, era in possesso del requisito anagrafico per il conseguimento della pensione di vecchiaia anticipata. Per quanto concerne la volontà del lavoratore, secondo la Corte il licenziamento doveva ritenersi illegittimo in presenza di una volontà del lavoratore a permanere in servizio. A differenza di quanto argomentato dalla Corte d’Appello (secondo la quale, ai fini dell’applicabilità del recesso ad nutum, era altresì necessaria la domanda del lavoratore prevista dall’art. 1 D.lgs. n. 67/2011), la Cassazione riteneva che la circostanza secondo la quale il lavoratore avesse manifestato la propria volontà di non accedere al pensionamento anticipato e di permanere in servizio, costituiva impedimento alla possibilità del licenziamento ad nutum. Secondo la Corte, infatti, la facoltà di esercitare l’opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 6 del D.L. n. 791/1981 doveva essere riconosciuta anche al personale viaggiante in possesso del requisito anagrafico per l’erogabilità della pensione di vecchiaia anticipata di cui al D.lgs. n. 414/1996, altrimenti non sarebbe ragionevole che il lavoratore, per il solo fatto di trovarsi nella situazione di poter richiedere il pensionamento anticipato, debba essere privato della facoltà di continuare a lavorare per raggiungere l’anzianità contributiva massima utile o per incrementarla ulteriormente.

La Corte, pertanto, confermava la sentenza e statuiva che nelle aziende di trasporto pubblico, per le quali opera il regime previdenziale di cui al D.lgs. n. 414/1996, un addetto al personale viaggiante ultrasessantenne in possesso del requisito anagrafico per il conseguimento della pensione di vecchiaia anticipata non può essere licenziato ai sensi dell’art. 4, comma 2, l. n. 108/1990 in presenza di una volontà espressa del lavoratore medesimo volta a non accedere al pensionamento anticipato ed a permanere in servizio.