La Corte di Cassazione, ordinanza n. 22819 del 12 agosto 2021, ha dichiarato legittimo il licenziamento del lavoratore che, al termine di un lungo periodo di malattia, rifiuti di ripresentarsi in azienda senza essere preventivamente sottoposto ad una visita medica.
Nel caso de quo una lavoratrice adiva il Tribunale per impugnare il licenziamento intimatole dal datore di lavoro per giustificato motivo soggettivo, a causa dell’assenza ingiustificata dal lavoro protrattasi per dieci giorni, al termine di un periodo di malattia di durata superiore a sessanta giorni regolarmente certificato. La dipendente giustificava la protratta assenza con l’omissione da parte del datore di lavoro della predisposizione della visita medica prevista dall’art. 41, comma 2, lett. e-ter) del D.Lgs. n. 81/2008, prima della ripresa dell’attività lavorativa.
Il ricorso veniva rigettato sia in primo che in secondo grado di giudizio. La Corte Distrettuale aveva infatti rilevato che la visita medica rappresenta un controllo legalmente previsto, ma non si configurava come condicio iuris della ripresa dell’attività lavorativa, pertanto, il rifiuto a ripresentarsi in azienda a seguito di formale invito del datore di lavoro rappresentava un’assenza non giustificata, rispetto alla quale risultava proporzionata l’applicazione della sanzione espulsiva. La lavoratrice ricorreva in Cassazione.
La Suprema Corte, confermando il disposto dei Giudici di merito, afferma che il D.Lgs. n. 81/2008 prevede all’art. 41 l’obbligo per il datore di lavoro di effettuare una visita medica di controllo precedentemente alla ripresa dell’attività lavorativa, in seguito all’assenza per motivi di salute di durata superiore a sessanta giorni continuativi, con il fine di verificare l’idoneità del lavoratore alla mansione, evitando che la stessa possa arrecare pregiudizio o rischio per la sua integrità psicofisica. In mancanza della suddetta visita il lavoratore può astenersi dall’eseguire la propria mansione ex art. 1460 c.c.. Tuttavia, a parere dei Giudici di legittimità, è necessario distinguere la ripresa delle proprie mansioni dall’obbligo di ripresentarsi in azienda nel momento in cui non vi sia più uno stato di malattia certificato. Ciò in quanto si tratterebbe di due momenti non necessariamente coincidenti, giacché il datore di lavoro potrebbe, nell’esercizio dei suoi poteri, disporre l’assegnazione a mansioni provvisorie del dipendente all’interno dell’impresa. Pertanto, il rifiuto della lavoratrice di recarsi in azienda non può essere considerato eccezione di inadempimento, rappresentando piuttosto una vera e propria violazione dei doveri contrattuali, passibile di sanzione secondo la disciplina del contratto collettivo.